Pagina:La difesa della razza, n.1, Tumminelli, Roma 1938.djvu/33

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necessario conservare quello che ordinò la natura, e il popolo romano dalla natura fu ordinato a imperare»; Dante, che nella unità d'Italia «giardino dell'Impero» riconobbe il fulcro per l'espansione della civiltà romana e cristiana nel mondo; questa idea imperiate, come si esprime Alfredo Oriani, ricostituisce con Vittorio Emanuele II l'unità della penisola; questa stessa persistente idea imperiale trasmessa da Roma opera profondamente nel pensiero dell'eroe, dell'uomo rappresentativo — il Duce — che ha sigillato il fatto psicologico della continuità con questo grido: «Noi non creiamo una Italia nuova, mettiamo l'Italia antica in marcia»; e sorge il Fascismo, che è ancora romanità. E il 9 maggio dell'anno XVI, con la glorificazione di Vittorio Emanuele III Re ed Imperatore, i legionari del Duce, accanto al Campidoglio, levano in alto le insegne, il ferro, i cuori a salutare dopo quindici secoli la riapparizione dell'Impero sui colli fatali di Roma.

Chi potrà disconoscere codesta fatalità psicologica, che nell'azione, nell'eloquio, nella prosa «tutta cose» del Duce raccoglie precisa espressione: codesta fatalità psicologica che è una fatalità biologica; chi potrà disconoscere il destino di Roma? Rievochiamo l'apostrofe del Poeta:

Per codesta fatalità meravigliosa il destino imperiale si è avverato, spezzando i più tenaci ostacoli; l'Italia imperiale prosegue il suo cammino verso il più grande avvenire di Roma immortale.

Prof. ARTURO DONAGGIO
Direttore della Clinica neurologica
nella R. Università di Bologna


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