Pagina:La favorita del Mahdi.djvu/234

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nosa. I cavalieri, presi da violenti colpi di tosse, ogni qual tratto erano costretti ad accostare alle labbra la fiaschetta dell’acqua, per inumidire la gola secca, arsa.

Per dieci ore marciarono senza interruzione, scendendo e salendo le colline, facendo spesso fuoco contro le bande di jene che rese audaci dal numero si avvicinavano minacciosamente con risa sgangherate, poi fecero alto. L’orizzonte allora s’infiammava e il sole alzavasi rapido rapido inondando la pianura di luce e di fuoco; sfidare quel calore sarebbe stata follìa.

La tenda che portava il guerriero fu rizzata e ognuno si affrettò a ripararvisi sotto aspettando con impazienza la notte per ripigliare la faticosa marcia.

Appena infatti il sole sparve all’occidente si rimisero in sella mantenendo una via rigorosamente diritta a El-Obeid, guidandosi sempre colla stella nord che per gli arabi vale quanto la bussola e forse meglio.

Così, per sette lunghe notti galopparono attraverso a quelle immense pianure, evitando con gran cura le borgate per non incorrere in imbarazzi, quantunque un ribelle li guidasse. All’ottavo giorno essi fecero alto a una trentina di miglia dal villaggio di Rakai, in una pianura cosparsa di monticelli pietrosi e di piccole oasi ricche di palmizi e di acacie gommifere.

Erano le sei di sera. La tenda era stata di già rizzata e si preparavano a cuocere alcuni grani di durah, gli ultimi che possedevano, quando Omar si accorse che le otri non contenevano nemmeno una goccia d’acqua. Questa scoperta, trovandosi in mezzo a quel deserto, lo sgomentò.

— Dove possiamo trovarne? chiese egli al guerriero che fumava beatamente sul limitare della tenda

— L’ignoro, ma in qualche luogo la troveremo rispose l’interpellato. Il paese che attraverseremo domani manca totalmente di pozzi.

— Ti ricordi di aver visto qualche fonta, questa notte?