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— Avanti! avanti! gridò la greca che balzava indietro avvicinandosi, senza accorgersene, al burrone.
Il terribile duello continuò per altri cinque minuti in capo ai quali la greca, che non riesciva a tener testa all’araba che era assai più agile e assai più forte, trovossi spossata, col giubettino insanguinato, sull’orlo del burrone.
— Guardati, le disse l’almea. Sei morta.
La greca volse il capo dietro di sè, vide l’abbisso in cui stava per precipitare e gettò un grido di spavento.
— Grazia, balbettò ella che sentivasi mancare le forze.
— Una di noi deve morire! Urlò l’implacabile Fathma facendo fischiare l’jatagan. Guardati!
Non aveva ancora terminata l’ultima parola che il suo jatagan sprofondavasi più che mezzo nella gola della greca, facendo uscire uno sprazzo di sangue spumoso.
Elenka, colpita a morte, emise un rantolo. Traballò, cercò di rimettersi in equilibrio, ma le forze le vennero meno; lasciossi sfuggire di mano l’arma, dilatò spaventosamente le pupille nelle quali brillava un ultimo lampo di minaccia e precipitò, roteando, nel fondo del baratro. S’udì un tonfo sordo sordo come d’un corpo che si fracassa, poi successe un silenzio di morte,
L’almea, pallida per l’emozione, coll’jatagan insanguinato in mano, s’avanzò fino all’orlo del burrone e guardò giù. Nel fondo fra le roccie aguzze, scorse il deformato e straziato corpo della bella Elenka illuminato vagamente dai freddi e melanconici raggi dell’astro della notte.
Rabbrividì e dette indietro.
— È morta! è morta!... mormorò ella con voce cupa. Allàh mi perdonerà.
Si volse per fuggire da quell’orribile luogo e si trovò dinanzi a Omar.
— È proprio morta? chiese il negro.