Pagina:La favorita del Mahdi.djvu/84

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— Mi chiamo Fit Debbeud, ma nel Dongola mi si conosce meglio per la Jena del Sudan. È probabile che tu oda questi nomi per la prima volta.

— Mi vanto di non aver mai udito questi nomi che puzzano da bandito a una giornata di cammino.

— Come sai tu che io sono un bandito? Sono lo sceicco di questi beduini.

— Per venire al campo, assalirmi a tradimento e portarmi via non bisogna essere che briganti o figli di quel cane di Mahdi. Queste piastre vuoi pel mio riscatto?

— Si vede che hai dello spirito, cane di un arabo. Voglio vedere se ne avrai altrettanto quando porrò sulla tua bruna pelle certe bestioline.

— Quale scopo hai per rapirmi? chiese sprezzantemente Abd-el-Kerim.

— Fra poco lo saprai, rispose lo sceicco.

Chiuse la bocca al prigioniero con un pugno che gli fe’ sanguinare i denti, poi rizzandosi sulla gobba del mahari gridò:

— Dritti alle ruine d’El-Garch, ragazzi miei.

La banda era allora giunta sul limitare delle grandi foreste del Bahr-el-Abiad, i cui alberi si curvavano con mille scricchiolii e con mille gemiti sotto i soffi del simun.

Fit Debbeud spinse il suo mahari sul sentieruzzo stretto e tortuoso e s’arrestò dinanzi a El Garch, le cui ruine si alzavano come fantasmi fra la profonda oscurità.

— Alto là! comandò egli, volgendosi verso la sua banda.

Fece inginocchiare il mahari con un semplice: khh! khh! sospirato, si gettò sulle spalle Abd-el-Kerim e dopo averlo avvolto strettamente nel suo taub lo consegnò ai suoi satelliti.

— Lo condurrete nel sotterraneo, gli disse. Se oppone resistenza torcetegli i polsi fino a snodarli.

Entrò nella sua tenda dove il greco sonnecchiava fra un monte di tappeti. Con un fischio lo fece saltare in piedi.