Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/105

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vere di andarsene; anzi rimanevano, lasciando andare le cose per la loro china. Erano in maggior numero i direttori che non i ministri, perchè, sia che la dignità ministeriale gli desse fastidio, sia che lo movesse spirito di economia, Ferdinando preferiva i direttori ai ministri; a lui pareva di averli più soggetti e li pagava meno. Un direttore prendeva centosessanta ducati il mese e un ministro cinquecento. Un solo de’ primi ebbe la fortuna di diventare ministro, nel febbraio del 1856, e fu il Murena. Nè il Peccheneda, che molto ci teneva, ottenne mai quel posto; nè il mite Bianchini, neppur dopo che successe al Mazza e cumulò, sino alla morte di Ferdinando II, le due direzioni dell’interno e della polizia.


Era sindaco di Napoli, dal primo gennaio 1848, don Antonio Carafa di Noja, che il Re chiamava, per celia, Torquato Tasso, perchè era il solo in tutto il Regno, al quale fosse concesso di portare baffi e pizzo, anzi mustacchi e mosca, come si diceva allora. Napoli aveva trenta Decurioni di nomina regia, dodici Eletti, quanti erano i quartieri della città, e ventisette Aggiunti, dei quali ventiquattro per i quartieri e tre per i villaggi. Al Decurionato, detto anche "Corpo di città„, apparteneva di provvedere alla polizia annonaria, alla costruzione e manutenzione delle strade interne ed alla ispezione sulla vendita dei generi soggetti ai regolamenti di annona. Gli eletti esercitavano nei quartieri le incombenze di ufficiali dello stato civile. Erano chiamati comunemente "cavalieri„ e stavano alla immediata dipendenza del sindaco. Della povera vita municipale di allora ampiamente discorrerò in altro capitolo. Il vero sindaco era il re, cui nulla importava di bonificamento e risanamento della città, e soprattutto dei bassi quartieri, oh quanto più luridi e malsani che non siano oggi! Di opere pubbliche importanti, compiute da Ferdinando II nella città, non sono da ricordare che la livellazione e il nuovo lastricato di Toledo, che fu finito di costruire nel giugno del 1853, con i marciapiedi e le colonne del gaz, e l’inizio del corso Maria Teresa, ora Vittorio Emanuele. Tranne Toledo, Chiaia e Foria, illuminate a gaz, tutta la città era illuminata ad olio; le lampade scarse e le strade buie, paurose e pericolose. Toledo fu per varii anni un saliscendi. Tre grandi chiaviche si aprivano, una innanzi alla Corsea, l’altra dov’è ora