Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/118

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ogni giorno, uscendo dall’ufficio, andava in un carrozzone caratteristico nell’altro suo palazzo all’Arco Mirelli, dove, vestito così com’era, prendeva una zappa e per alcune ore lavorava nel giardino. In quelle ore a tutti era vietato di entrare, ma gl’inquilini si divertivano un mondo, vedendo il vecchio consultore zappare la terra. La vita di Emilio Capomazza che morì molto vecchio, dopo il 1860, meriterebbe uno studio e sarebbe desiderabile che se ne occupasse qualcuno dei nipoti. Dei figliuoli, il maggiore fu Carlo, morto prima del padre, essendo consigliere di Corte d’appello. Se oggi fosse vivo, occuperebbe uno dei più alti posti in magistratura, tanto era egli stimato per la dottrina giuridica e l’anima di galantuomo. Carlo fu padre di Emilio, presente marchese di Campolattaro e già sindaco di Napoli, e di Guglielmo, che fu aiutante di bandiera del duca degli Abruzzi, ed oggi è capitano di vascello.

Il nome del vecchio Capomazza si legge nell’ultima pagina di tutti i libri pubblicati a Napoli nell’ultimo decennio, perchè era attribuzione sua, quale presidente del Consiglio generale di pubblica istruzione, permetterne la stampa. La formula sacramentale del permesso era: Si permette che la suindicata opera si stampi; però non si pubblichi senza un secondo permesso, che non si darà, se prima lo stesso regio revisore non avrà attestato di aver riconosciuto essere l’impressione uniforme all’originale approvato. Questi permessi, oltre la firma del presidente Capomazza, portavano quella del segretario generale Pietrocola, membro del Consiglio con voto.