Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/289

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Brindisi. Linea nel suo complesso più razionale della presente, ma studiata sulle carte militari e con pochi rilievi di campagna, e che poteva dar luogo a molte sorprese sul passaggio dell’Appennino, tanto che rimaneva ancora da decidere, se, sboccata la linea nella valle del Cervaro, dovesse piegare per Troja, o proseguire lungo il Vallo, per il ponte di Bovino e Giardinetto. L’impresa si obbligava a fornire le locomotive meglio conosciute, e che dovranno consumare il fumo: locomotive in proporzione di una per ogni cinque miglia.


Nonostante l’impreveduto insuccesso dell’emissione, e delle pratiche che l’impresa tentava per avere il suolo gratuito. Melisurgo non si smarrì. Egli somigliava al Manzi, concessionario delle linee pontificie: lo stesso talento avventuroso e audace. Prese in fitto il palazzo Amato a porta Costantinopoli per sede della Società; e accreditò la voce che sarebbe venuto a dirigere i lavori nientemeno che l’architetto Brummel, l’audace autore del tunnel sotto il Tamigi; s’iniziarono non senza energia i lavori di dettaglio, che in provincia di Bari vennero affidati agl’ingegneri De Judicibus e Cafaro, sotto la direzione dell’architetto Sergio Pansini; cominciarono i primi piati contro i progettati esproprii, e fu fissata l’inaugurazione solenne dei lavori a Napoli, con l’intervento del re, e forse dell’imperatore d’Austria, per il giorno 12 gennaio 1856, compleanno del sovrano; e poi il 26 febbraio, e infine agli 11 di marzo dello stesso anno. I Casanova sollecitavano il cognato Antonacci a trovarsi a Napoli, per quel giorno, essendo egli membro, come si è detto, della commissione di vigilanza.

Quella di Napoli era formata, oltreché dall’Antonacci, dal principe d’Ottajano, dal barone Stanislao Barracco, dal barone Luigi Compagna, da Carlo di Lorenzo, da Luigi Balsamo, da Gaetano Amato, da Francesco del Giudice, da Enrico Alvino e da Fausto Niccolini. Si avvicinava il gran giorno, e una deputazione andò a pregare il re di assistere alla inaugurazione, e con grande stupore il re rispose con un rifiuto, che doveva essere come il colpo di grazia dell’impresa. Nonostante, la cerimonia vi fu, ma riuscì un mezzo mortorio, a giudicarne della più che succinta, arida relazione del Giornale Ufficiale. Solo il Poliorama Pittoresco ne scrisse copiosamente; e si deve a quel giornale se