Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/322

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promozioni col solo requisito dell’anzianità, mettendosi a capo degli uffizii persone notoriamente disadatte, per vecchiaia o insufficienza A questo quadro è inutile aggiungere alcuna cornice.

Molti erano davvero questi inconvenienti, ma non tali, in verità, da intaccare il patrimonio dell’istituto, del quale anzi l’aumento fu costante. Banco schiettamente napoletano, aveva fini più modesti di oggi, che, divenuto istituto di emissione e di credito fondiario, aprì sedi non solamente in quasi tutte le provincie continentali dell’antico Regno, ma nelle principali città d’Italia. Governato da un numeroso Consiglio, o meglio da una folla di provenienza elettiva, subì per un pezzo le vicende parlamentari, onde le crisi frequenti dei suoi direttori, e le lotte palesi ed occulte fra il direttore di nomina regia e il Consiglio, le inframmettenze del governo, ora provvide e ora nefaste, e la crescente prevalenza di elementi estranei alle provincie napoletane. E da questo Consiglio venivano fuori i delegati delle sedi, i consiglieri di amministrazione, i censori o sindaci: uffici variamente retribuiti, ma retribuiti tutti. Si può immaginare quale spettacolo di avidità e di volgarità presentasse questo Consiglio nella rinnovazione delle cariche, e quali influenze esercitassero questi consiglieri sugli sconti e sulle operazioni nelle rispettive sedi, alla loro vigilanza commesse! Ne feci parte per sei mesi e posso ben provare quello che affermo. Una legge aveva escluso dal Consiglio i membri del Parlamento: si credette oosì di epurarlo, ma il livello morale del consesso discese ancora più basso.1


Il reggente del banco delle Due Sicilie era contemporaneamente direttore della Zecca, o amministratore delle monete, ufficio che dipendeva anche dal ministero delle finanze e aveva sede in Sant’Agostino. Oltre alle officine di monetazione, c’era

  1. Con l’ordinamento dei ministro Sonnino a parecchi di questi mali si portò rimedio, abolendo censori e consiglieri di amministrazione presse le cedi, riducendo il numero dei consiglieri, rendendo questi ufficii quasi gratuiti. Con una seconda riforma si fece ancora meglio, iniziando la liquidazione del credito fondiario, mettendo a profitto una parte delle riserve, e dando al Banco un direttore, quale forse non ebbe mai. Con una terza legge infine, fu ridotto l’interesse delle cartelle fondiarie e prolungati i termini dei pagamenti, in seguito alle mie ripetute insistenze quando fui deputato. Con tali provvedimenti, e con un uomo come Nicola Miraglia, il Banco fu salvo, senza la totale rovina dei debitori suoi.