Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/353

Da Wikisource.

— 331 —

benedetta memoria, istituisco mia erede universale la mia dilettissima moglie donna Giovanna d’Urso del fu don Filippo in tutti i miei beni di qualunque natura, niuno eccettuato, non avendo io eredi nè fra gli ascendenti nè fra li discendenti. E però essa donna Giovanna avrà intera la mia eredità e quanto al tempo della mia morte si troverà di mia proprietà, tanto in immobili quanto in mobili e semoventi, oro, argenti, gemme, intera libreria e collezioni di libri, biancherie d’ogni sorta e mobilia di ogni maniera, in modo che la specialità di queste indicazioni non noccia alla generalità dovendo la predetta mia moglie aver tutto e poi tutto l’asse della mia eredità, senza niuna detrazione o diminuzione, salvo i seguenti legati:

1° Al mio fratello germano don Ferdinando lascio in memoria mia il corpo intero delle opere di Bossuet, ed a sua moglie donna Giacinta Botta, mia cognata, la mia ripetizione d’oro.1

2° Al mio cugino don Francesco Saverio figliuolo di don Saverio Troja, mio zio trapassato, lascio sei posate di argento e tre alla sua moglie donna Amalia parimenti mia cugina, perchè nata dall’altro mio zio trapassato don Ciro. Dette posate intendo che sieno date a’ detti miei cugini don Francesco Saverio e donna Amalia coniugi Troja dal numero di quelle che mi pervennero dalla eredità mia paterna e di quella di mia madre donna Anna Maria Marpacher di santa e benedetta memoria, senza che la mia erede donna Giovanna D’Urso debba toccare le posate fatte con mio proprio e particolare danaro, mentre viveva la cara mia genitrice.

3° A don Gaetano Trevisani, avvocato e figlio dell’avvocato don Luigi, lascio, in memoria dell’amicizia nostra, il corpo de’ monumenti Ravennati del conte Fantuzzi in sei tomi in quarto, postillati da me in molti luoghi, ed il Corpus juris germanici (parimenti postillato da me) del Georgisch, tomo uno in quarto. Il detto signor Trevisani mi ha sempre aiutato ne’ miei studi e m’è stato fedele amico nelle sventure. Io lo ringrazio di non avermi adulato giammai, nè nascosto il suo sentimento, ancorché mi dovesse increscere. Gli lascio inoltre gli Scriptores historiae Avgustae cura notis variorum: tomi due in ottavo, ed un piccolo Sallustio degli Elzevirii.

Ringrazio la mia diletta moglie donna Giovanna del lungo affetto e delle affettuose cure, che non si è mai stancata di avere per me, sempre infermo e giacente in letto per buona parte dell’anno.


  1. Al fratello aveva regalato, poco tempo prima di morire, un poggiacarte di marmo, sul quale era attaccata una veduta dell’arco di Costantino in mosaico, dicendogli che alla sua morte lo lasciasse al Fornari. Don Ferdinando lo lasciò scritto fra i suoi ricordi; e donna Giovanna d’Orso, vedova di Carlo, portò il poggiacarte al Fornari, che lo conservava come una reliquia. Conservava inoltre un somigliantissimo ritratto del Troja. Don Ferdinando morì, si disse, a Roma nel monastero degli Agostiniani Scalzi, dove si era rinchiuso dopo che, largita la Costituzione nel 1860, egli non sì senti più sicuro a Napoli e trovò scampo prima a Gaeta e poi a Roma.