Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/373

Da Wikisource.

— 351 —

aveva un’invincibile antipatia per gli avvocati, e poichè non ardeva ingegno atto a distinguere, li confondeva in un solo sentiamento di disprezzo e li chiamava tutti paglietti, attribuendo alle loro ciarle e alle loro iperboli i fatti del 1848, E forse non aveva torto; e il Settembrini, che scrisse nell’ergastolo di Santo Stefano le Ricordanze della sua vita, si trovò d’accordo col re! Parlando della catastrofe del 16 maggio, Settembrini rivolse agli avvocati quella terribile apostrofe: o avvocati, anzi paglietti, voi meritate la servitù! E più tardi Luigi Amabile li chiamò branco d’inetti e vera cagione dei guai politici e della infelicità del Reame.

Il ceto, scarse eccezioni a parte, non aveva coscienza politica. Molti di quelli, che avevano più urlato nei giorni della libertà, si chiusero la bocca nei giorni della servitù, anzi i più voltarono casacca. Domenico Capitelli, la cui casa era stata sino al 1848 frequentatissima da una turba, che in lui adulava e corteggiava il principe del fôro e il presidente della Camera dei deputati, non fu più ricercato che da pochi fidi e coraggiosi amici, e lo stesso incolse a Carlo Troja, come si è veduto. L’ex presidente del Consiglio dei ministri e l’ex presidente della Camera, amicissimi fin dalla prima giovinezza, abitavano a poca distanza in via Toledo, Domenico Capitelli lasciò il suo appartamento al palazzo De Lieto e andò in quella via Quercia, che ora porta il suo nome. Lo visitavano quasi esclusivamente Gabriele Capuano, Innocenzo de Cesare, Raffaele Masi, Saverio e Michele Baldacchini, Leopoldo Tarantini e Vincenzo Sannia; e quando nella notte del 30 agosto 1864 mori di colera a Portici, nella villa Pietramelara, si trovarono intorno al suo letto, coi medici Pietro Ramaglia e Alessandro Lopiccoli, i soli amici Masi e Tarantini. I suoi affari professionali dopo il 1848 erano diminuiti; la sua casa tenuta d’occhio dalla polizia, e notate le persone che la frequentavano, onde erano caratteristiche le paure del Masi, nel quale però l’affetto vinceva la trepidazione.

Con la morte di Domenico Capitelli venne a mancare il maggior astro del fôro napoletano; quello, che. al dire del Pessina, impossessandosi della dottrina storica del Vico, che nella sua mente era congiunta alle dottrine filosofiche dei contemporanei, inquadrò nella storia del diritto il concetto delle tre età, del senso, della fantasia e della ragione; quello che fu con Nic-