Pagina:La fine di un regno, parte III, 1909.djvu/62

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stati con noi altri per l’attentato di Milano. Da quella massa di spropositi e sgrammaticature di due soldatacci senza coltura potrai cavar qualche cosa di vero; ma perchè tu possa farti la precisa idea dei fatti e delle persone, che figurano autori di questi scritti, aggiungo un breve commento, cui fo seguire una breve notizia di noi altri, ai quali si riferivano le accuse di quei due, accuse che ritrattarono dopo due anni cogli scritti che ti mando. Le due memorie sono conservate nel loro originale dagli eredi e figli del fu Domenico Francalanza, medico di Rossano, nostro compagno di carcere; l’anno scorso mi feci fare questa copia per conservarla fra le tante memorie che ho della mia prigionia. Dei due militari, Giuseppe Mendicini era Albanese di S. Giorgio, che stette anche in educazione qualche anno nel Collegio ove si educò Milano, e conosceva il Milano fin da quel tempo. Non completò la sua istruzione e andò a servire nella milizia, perchè gli toccò nella leva del suo paese il numero che lo chiamava. Non era imbevuto di sentimenti liberali, perchè se nei piccoli paesi si potesse dire che esistono partiti politici, il padre di lui era notoriamente contato fra i borbonici. Il Tangor, l’altro autore della memoria, era di Basilicata, Compagno di caserma del Mendicini, fu in intimi rapporti con lui, come si legge negli scritti di entrambi. Ma dopo, per opera del commissario dì polizia De Spagnolis, che nel nostro processo era inquisitore, furono messi in opposizioni l’uno dell’altro per poter più facilmente strappar da essi delle confessioni.

Il Mendicini era stato a qualche riunione, dove intervenivano Agesilao, Nociti, Battista Falcone e giovani di altre provincie, che coltivavano le idee di libertà, e si riscaldò per poco anche lui. Un mese prima dell’attentato, tornando io dalla villa dei baroni Compagna in S. Iorio, dove avevo dovuto trovare asilo a Vincenzo Sprovieri, che veniva di Calabria travestito da frate per imbarcarsi per l’Estero, mi incontrai a Toledo con Mendicini, il quale al vedermi, mi festeggiò e mi disse: abbiamo parlato tanto di te in una riunione che tenemmo in casa di Nociti, dove intervennero Agesilao e tanti altri ed abbiamo trattato di cose politiche. Io domandai: e lo spirito della truppa come è? Mi rispose: ottimo; e non mi spinsi oltre, non avendo molta fiducia nella sua serietà. Avvenuto l’attentato, furono arrestati Mendicini e il Tangor. Il commissario De Spagnolis credette trovare in essi degli strumenti dei quali avrebbe potuto servirsi, intimidendoli, per strappare loro confessioni di segreti e di congiure. E perciò furono tenuti sempre segregati da noi altri calabresi ed albanesi. Potemmo per mezzo dei custodi comunicare con Mendicini nostro paesano e rimproverarlo delle deposizioni fatte che sapevamo essere contrarie a noi ed anche alla verità. Fu per questo, che pentiti, scrissero le dichiarazioni che ti mando. Il Mendicini la diresse