Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/125

Da Wikisource.

— 109 —

cerdote dicesse ogni giorno la messa secondo l’augusta intenzione di lui. E il Re consentì e concesse poi all’abate Galizia un pingue beneficio, il quale, mutati i tempi, non gli fu riconosciuto e per cui egli mosse lite al governo Italiano. Il Galizia lasciò un patrimonio modesto. Uomo di poche parole e di molto tatto, fu, veramente, il solo che potesse affermare di conoscere a fondo il suo padrone, nel quale era entrato in grazia particolarmente per questo, che ben di rado gli chiedeva qualcosa, il che pareva inverosimile, perchè tutti chiedevano in Corte.

Il marchese don Michele Imperiale era cavaliere d’onore della Regina, la quale aveva per dama d’onore la principessa di Bisignano; per cavallerizzo, don Onorato Gaetani, e per dame di compagnia, la duchessa d’Ascoli e la marchesa di Monserrato. Figuravano, fra le dame di Corte, le principesse di Paternò, di San Nicandro, di Linguaglossa, di Satriano, di Pandolfìna, di Piedimonte, di Palazzolo, di Sant’Elia de Gregorio, di Cajanello e della Scaletta; le duchesse di Serracapriola, di Ascoli, di San Cesario, di Belviso, di Adragna; le marchesse Della Guardia e Di Alfano; la contessa Statella dei marchesi di Salsa, Grifeo e dei principi di Catena, e De la Tour, donna Luisa de Sangro. Queste dame, negli ultimi anni del regno di Ferdinando II, non prestarono servizio quasi mai. Maria Teresa aveva da principio cameriste e donne di camera per il suo servizio, ma cameriste non ne ebbe più, negli ultimi tempi, come sarà detto. L’amministrazione della Casa Reale aveva tre ripartimenti, un archivio centrale, una controlleria, una vedorìa e contadorìa, una tesoreria, una tappezzeria e una biblioteca privata. Era direttore della biblioteca il marchese Imperiale di Francavilla; capo della tappezzeria, il barone Falco il quale, essendo morto il 23 maggio del 1859, si disse ucciso dal dolore par la fine del Re che il giorno avanti era spirato. Gli successe il signor Francesco Oli. Era tesoriere il conte Forcella; vedore, don Ferdinando Scaglione; controllore, don Antonio Fava; archivista, don Raffaele Benedetti e capi di ripartimento, Cheli e Rossi.

Sopraintendeva a tutti, nella sua qualità di maggiordomo maggiore, il principe di Bisignano. Erano medici di Corte, Rosati, Ramaglia e De Lisi e chirurgo, don Niccola Melorio; avvocati di Casa Reale, Magliano ed Arpico; avvocato consulente, Antonio Starace; architetti. Persico, Puglia, Genovese, Zecche-