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telli e Giordano; direttore del museo borbonico, il principe di San Giorgio, don Domenico Spinelli; controllore dello stesso museo, Bernardo Quaranta; architetto degli scavi di Pompei, Genovese; degli scavi d’Ercolano, Bonucci; dell’anfiteatro di Pozzuoli, Michele Ruggiero; dell’anfiteatro Campano e tempio di Pesto, Rizzi. Era prefetto della real biblioteca borbonica l’abate Selvaggi e presidente della giunta di detta biblioteca, l’abate Giustino Quadrari, valoroso grecista, nativo di San Donato Val di Comino, nel circondario di Sora.
Confessava il Re monsignor Antonio de Simone, e la regina, il padre Giovanni Sabelli, liguorino della provincia austriaca, tedesco di nascita e di nazionalità, benchè di cognome italiano e discepolo del beato Clemente Hofbauer, liguorino e propagatore del suo Ordine in Europa. Del principe ereditario era cappellano don Domenico d’Elia; confessore, monsignor Filippo Gallo; primo istruttore, il retroammiraglio don Giovanni Antonio della Spina, e secondo istruttore, il brigadiere del genio, Francesco Ferrari. Il brigadiere Niola di artiglieria, il colonnello Cappetta, il maggiore Galasso, il capitano Francesco Giannico del genio, e il tenente colonnello Presti erano gl’istruttori dei principi secondogeniti, ai quali, come al duca di Calabria, aveva insegnato il catechismo e l’abecedario lo scolopio padre Pompeo Vita, di Torre Santa Susanna, che restò in Corte per impartire lo stesso insegnamento alle principesse e ai piccoli principi, sino al novembre del 1857. In quel tempo impazzì e fu sostituito da un altro scolopio pugliese, il padre Niccola Borrelli, di Foggia. Non è immaginabile quale influenza esercitasse il padre Pompeo in Corte, nè quella che vi esercitò, forse maggiore, sotto il regno di Francesco II, il padre Borrelli. Avevano indole affatto diversa questi due figli del Calasanzio. Il padre Pompeo, detto di San Carlo alle Mortelle, perchè già rettore di quel collegio, era uomo di strani scrupoli, per cui cadde su lui la maggior parte di responsabilità, circa la prima educazione del duca di Calabria. Si affermò che egli avesse carezzata nell’erede della Corona la materna tendenza ascetica, ed esagerato in lui il senso istintivo della rassegnazione, di dispregio delle pompe e di avversione alle donne, per cui Francesco II fu prima un Re e poi un pretendente così diverso da tutti gli altri principi e pretendenti della terra. Despicere