Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 120 — |
purità di coscienza che rende sicura la voce e calmo e pacato lo stesso sdegno dell’anima, dicesi, che gli facesse cadere a’ piedi chi pretendeva di giudicarlo. Fossero meno rari i vescovi come il Caputo!„
Queste lodi irritarono in sommo grado il Re, e fa obbligato l’ottantenne vescovo a scrivere o a sottoscrivere questa strana lettera da lui diretta a monsignor Salzano. Eccola nella sua integrità: "Monsignor don Vincenzo Lotti mi onorò de’ vostri saluti, e mi disse che mendacio sul mio conto in Piemonte erasi scritto. Ne sono oltremodo addolorato: è un vilipendio per me essere sulle labbra di chi si parla sbrigliatamente; e voglio che questa mia indignazione sia solenne. Nulla ho di comune con uomo senza verecondia. Sia pure a me da Voi compartito questo favore; la mia canizie invoca la verità che l’orni e la coroni, non il mendacio. E poteva per me darsi nel giugno e luglio 1856 un Sovrano più caro di Ferdinando II, anzi di vero amico? Sì, il mio Padrone e Re in quella mia avventura fece con me quel che il vero amico sappia fare. Sono, monsignor mio, commosso a tante nequizie impudenti colà in Piemonte„.
Il faceto Salzano si servì di questa lettera, pubblicandola trionfalmente nella confutazione ch’egli fece dello Scialoja, ma i maligni asserirono che la lettera l’avesse scritta egli stesso, e mandata a firmare al Caputo. E n’era capace.