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Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/147

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diletto. Se la forma n’è quasi sempre volgare, il pensiero è molte volte elevato e, strano a dire, certi suoi epigrammi pornografici hanno una base morale, perchè mettono in dileggio tipi e abitudini meritevoli di riso e di disprezzo. Il Caccavone era uno stoico e aveva degli stoici l’atticità del pensiero e delle immagini e le abitudini della vita. I suoi versi in lingua italiana sono bellissimi. Non rideva mai, aveva colore terreo, quasi cadaverico e la sua cattedra era il caffè di Europa. Morì vecchio, dopo il 1870. Gli epigrammi di D’Urso e di Proto erano più ingiuriosi che spiritosi, e quasi sempre ad hominem. Nessuno di loro creò tipi, come Taniello, don Lorenzo, la madre educatrice; nessuno scrisse epigrammi italiani in bellissimi versi e con immagini pure. Privi della naturale festività e obiettività del Caccavone, colpivano determinati individui e rasentavano l’insolenza, e il Proto, più stentato ancora del D’Urso, fu fatto segno lui stesso ad epigrammi atroci, ad umiliazioni non poche, da parte di quelli che egli colpiva, e infine a clamorose bastonate. Gli epigrammi del Proto sono stati raccolti in un volumetto dal Di Giacomo. Egli non aveva ingegno, veramente. Era artifizioso e scontorto in ogni sua manifestazione letteraria, retore, invido di chiunque si elevasse sulla folla, versipelle in politica e in arte. Sfucinavano epigrammi anche Cesare de Sterlick, Vincenzo Torelli, Federigo Quercia, Luigi Coppola, Giuseppe Orgitano, Federigo Persico, Giuseppe Rosati e Felice Niccolini. Se ne ricordava uno contro Saverio Baldacchini, attribuito a Giacomo Leopardi e che diceva:

Ei le vergini canta, l’evangelo
Ama, le vecchie .... adora, e la mercede
Di sua molta virtude attende in cielo.

Se mancavano giornali, come s’intendono oggi, mancavano anche i giornalisti. Eran tutti articolisti intermittenti e a rime obbligate. Unico giornalista, nel vero senso della parola, fu Vincenzo Torelli, la cui influenza nel mondo della letteratura e dei teatri divenne incontestata. Torelli rappresentava una potenza, e la sua casa, prima al palazzo Barbaia in via Toledo, e poi in piazza San Ferdinando, dove aveva raccolti molti quadri di autori antichi e moderni, era un magnifico convegno di letterati, di artisti e di quanti uomini di valore vivevano in Napoli o vi ca-