Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/186

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oggi, accorreva alle rassegne militari. Fu fortuna ch.e il tentativo non riuscisse: un tremendo eccidio avrebbe insanguinata Napoli, perchè i reggimenti svizzeri, fedelissimi al Re, credendo all’esistenza d’un complotto fra le truppe indigene, avrebbero tirato su di esse e sulla folla e rinnovata forse la tragedia del 15 maggio. All’eventualità della morte di Ferdinando II nessuno era preparato e, assai meno, a una morte in condizioni così inverosimili. Pareva inverosimile difatti, anzi addirittura assurdo che da quell’esercito, descritto più sopra, uscisse un regicida; e nei primi momenti fu grande la sorpresa, credendosi all’esistenza di una cospirazione militare, la quale, ucciso il Re, avrebbe mutato il governo e sconvolta ogni cosa. I borbonici dissero che la cospirazione l’avevano ordita i liberali, nè li dissuasero le parole di Agesilao, i suoi precedenti e la impossibilità in cui si trovò la polizia, di scoprire le fila della congiura, perchè congiura non v’era. Il contegno del Re salvò tutto. Ferdinando II diè prova in quell’occasione di vera fortezza di animo e il Giornale ufficiale, che ne lodò l’imperturbabilità, non fu iperbolico. Egli non volle che si sospendesse la sfilata delle truppe; continuò ad assistervi; tornò alla Reggia in carrozza, e nel pomeriggio uscì con tutta la famiglia, percorrendo le vie più popolose della città. Alla Reggia fece subito chiamare il dottor Rosati, nel quale aveva una fiducia immensa. Rosati notò una piccola scalfittura sotto la mammella sinistra. Essendo il Re eccitato, lo rassicurò che non era nulla e gli prescrisse un calmante, che il medico stesso preparò. Il giorno seguente prese dell’antacido e si mostrò calmo, quasi ilare, nel ricevimento delle autorità e del corpo diplomatico, che andarono a rallegrarsi con lui. All’incaricato di affari di Sardegna, che era il Gropello, si affermò che avesse detto ironicamente: "scrivete al nostro carissimo cugino che non è stato nulla, e che sto bene„. Invece parve che particolarmente gradisse i reiterati atti d’interessamento del Gropello, il quale andò due volte a Corte, la prima, poche ore dopo l’attentato con gli altri capi di legazioni, e la seconda volta, quindici giorni dopo, per incarico speciale del Re Vittorio Emanuele. In ambo le occasioni Ferdinando II fu col Gropello marcatamente cortese. Era egli troppo furbo per lasciarsi andare col corpo diplomatico a qualche sfogo, o a qualche espressione meno che meditata e ponderata. Non è dunque esatto