Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/271

Da Wikisource.

CAPITOLO XIII


Sommario: Il Banco delle Due Sicilie — Le tre casse di Corte — Le fedi di credito — Il reggente Ciocarelli — Le tribù degl’impiegati — Mancanza di succursali nelle provincie — Banco di Sicilia — Le spese considerevoli — Antonio Monaco e Andrea de Rosa — Gl’inconvenienti d’allora e le vicende degli ultimi tempi — La Zecca — La Borsa — Il commercio dei grani e degli olii — I magazzini dei grani — Case d’ordini e un tentativo di Rothschild — Perfetti, De Martino e Pavoncelli — Ribassisti e aumentisti — I sensali, i commessi e gli agenti — Il commercio alla gran dogana — Carboni e fascine — Gli scaricanti — I mercanti di tessuti, di coloniali e di altri generi — La ditta Tramontano — Vecchi costumi mercantili.


Il Banco delle Due Sicilie, come si chiamava allora il Banco di Napoli, dipendeva dal ministero delle finanze. Eugenio Tortora ha scritto due grossi volumi, narrandone la storia e le vicende, dal 1539, in cui si apri la prima cassa pubblica, in via della Selice, all’ultimo riordinamento del 1863, fatto dal Minghetti, ministro delle finanze e dal Manna, ministro del commercio. Negli anni, dei quali parlo, il Banco delle Due Sicilie era in Napoli diviso in tre casse: la cassa di Corte, che avea sede nell’edificio di San Giacomo; la seconda cassa di Corte, allo Spirito Santo, e la cassa dei privati, posta dove prima era il banco della Pietà. Il direttore generale si chiamava Reggente e presedeva il Consiglio della reggenza, formato da lui, dai presidenti delle tre casse, dal segretario generale e dal razionale contabile. Questo Consiglio si occupava degli affari interni del Banco; nominava e destituiva gli impiegati; provvedeva ai posti vacanti, nonché al servizio delle casse e all’amministrazione del patrimonio. Il Reggente aveva poteri molto estesi e corrispondeva