Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/294

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casa Craven era una delle maggiori attrattive della più intellettuale società napoletana, e il più valoroso filodrammatico dell’alta società parigina, il visconte di Magnieux, venne a Napoli a bella posta per recitarvi. Le rappresentazioni avevano quasi sempre uno scapo di beneficenza e i poveri ne ritraevano sollievo. Per il terremoto di Basilicata si rappresentarono due commedie francesi, e la duchessa Ravaschieri declamò il Salmo di Niccola Sole. La commozione fu grandissima quando ella disse:

Signore! I tuoi clementi occhi declina
Su le ripe lucane, ove la vita
Fra il terror si dibatte e la mina!
Scapigliata una gente e sbigottita
Ignuda fugge il tuo divin furore,
E per gl’infermi campi erra smarrita! 1

Quelle due rappresentazioni fruttarono, come ho detto, oltre quattromila ducati; i posti nella sala non erano che 200, e alcuni furono pagati dieci napoleoni l’uno. Nel 1859 la casa Craven divenne il luogo dove più liberamente e più vibratamente si parlasse delle speranze d’Italia, sull’esempio della padrona di casa, la quale, francese e bonapartista, credeva che Napoleone III fosse il veltro di Dante. Molto frequentati anche i ricevimenti in casa De la Feld. La contessa De la Feld era un vero valore nell’arte del canto, apparteneva alla famiglia Bevere di Ariano e fu educata a Napoli, dove sposò nel 1844 il conte Giuseppe De la Feld, ricco signore inglese, venuto a Napoli per diporto, a bordo del suo Yacht "Esmeralda„ . I ricevimenti di casa De la Feld ebbero importanza politica nel 1860, ma prima di quel tempo erano già celebri, perchè vi si faceva della musica eccellente e ai concerti prendevano parte, oltre ai migliori dilettanti del tempo, i più rinomati artisti di passaggio per Napoli. C’era un teatrino e vi si rappresentò, nell’aprile del 1857, il Don Pasquale di Donizetti. Fu un avvenimento

  1. Bonaventura Zumbini ha raccolto in un bel volume, edito dai Lemonnier, i canti di Niccola Sole, preceduti da una prefazione ch’è un atto di giustizia alla memoria del simpatico poeta, il quale, non ostante l’ultima sua incoerenza, quella di avere composta la celebre cantata per l’assunzione al trono di Francesco II, lascia, dice lo Zumbini, non solo brani, ma interi e ampi e numerosi documenti di vera poesia, degni di essere ricordati per sempre.