Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/341

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il maggior ellenista dei suoi tempi. Vescovo titolare di Lampsaco e zio di Francesco Crispi, si disse ch’egli aiutasse il nipote durante l’esilio, ma non è vero, anzi ne deplorava i principii liberali. Sali a meritata fama e lo attestano le sue pubblicazioni, soprattutto i tre volumi della grammatica greca. Fu anche presidente della Reale Accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo. Il professore di lettere italiane era Giuseppe Bozzo, brav’uomo, mite regio censore, ma senza levatura, che mori una dozzina d’anni fa, ultimo degli arcadi in Palermo. I letterati del tempo gli preferivano Gaetano Daita, il quale non era professore all’Università; anzi nel concorso universitario per la cattedra di eloquenza, poesia e letteratura. italiana era stato posposto al Bozzo; ma dirigeva un istituto privato, che ebbe vita florida. Martino Beltrami Scalia vi dava lezioni di geografia, e quello spirito eletto di Carmelo Pardi, monaco o, come si dice in Sicilia dei non Benedettini, frate nell’Ordine dei Minimi, insegnava lettere italiane e storia. Era il Pardi uomo di varia cultura, grazioso poeta e fa uno dei fondatori della Favilla. Mori a 53 anni nel 1875 e di lui scrisse con affetto il professore Luigi Sampolo. Nella lista degli scrittori colti, che rifulsero in Palermo negli ultimi dieci anni, il Pardi sta tra i primi. Ma per tornare all’istituto Daita, dirò che esso fu davvero un vivaio di giovani, i quali ebbero parte nel movimento liberale e poi nei pubblici uffici, e godeva maggior credito dello stesso real convitto San Ferdinando, tenuto dai gesuiti, e dello "stabilimento letterario Vittorino e Ginnasio„, posto sotto gli auspicii del principe di Galati, pretore della città. Il Daita era fuggito a Malta, dopo la restaurazione; era stato deputato fra i più caldi nel 1848; tornò a Palermo nel 1851; apri il suo istituto e non ebbe molestie. Nell’elenco degli ex deputati, che sottoscrissero la nota abiura, il suo nome non figura. Il Bozzo e il Daita erano gli epigrafisti del tempo: il Daita, più spontaneo e meno retore; il Bozzo, stentato e arcadico commentatore di Dante e di Petrarca, ma quanto lontano da quel G. B. Niccolini, che gli fu amico!

Nella facoltà di belle arti va ricordato Carlo Giachery, uno dei migliori architetti di allora. Il Giachery era di Padova, andò giovinetto a Palermo con la famiglia, vi fece gli studii, si laureò nel 1833 e si perfezionò poi a Roma, ispirandosi