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Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/401

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l’infermo e lo portò alla tomba. Il Ramaglia aveva tutto il tipo del medico cortigiano: epperò cercava innanzitutto d’illudere sè stesso circa la gravità del male, se pure non si voglia ritenere quel che molti ritennero fin d’allora, ch’egli non avesse capita la malattia, e per non confessarlo, dichiarasse più tardi immaginarii i primi dubbi del dottor Niccola Longo di Bari. Era loquacissimo, sempre disposto al riso, alla barzelletta e all’adulazione. I maligni dicevano che, dopo il desinare, rifiutasse di far visite.


La notizia della malattia del Re, nonostante l’assoluto divieto di parlarne, si diffuse rapidamente nella giornata del 16, perchè ricorrendo in quel giorno il natalizio del duca di Calabria, la Corte non prese parte alle feste preparate. La mattina si distribuirono ventiquattro letti e ottanta camicie ai poveri, per il valore di trecento ducati e cento ducati furono largiti in elemosine. Suonarono le bande nelle piazze e a mezzogiorno si cantò in duomo un solenne Te Deum, con l’intervento delle autorità in grande uniforme, ma l’assenza dei principi contribuì ad accreditare le notizie allarmanti circa la salute del Re. A fine di attenuare questa impressione, il Re volle che nei giorni seguenti continuassero le feste, e i tre principi, scortati da dragoni a cavallo e da guardie d’onore, facessero lunghe passeggiate in carrozza sino ai paeselli intorno Lecce, e uscissero a piedi per la città, visitando gli stabilimenti e gl’istituti pii. In una di queste passeggiate, un operaio di Caballino chiese al duca di Calabria un ricordo e questi gli fece dare una piastra d’argento. Un altro giorno tornando in carrozza da un giro lungo le mura, accompagnato dalle guardie d’onore Tommaso Caputo, Alessandro e Gaetano Sauli di Tricase e dalle guardie Carducci e Liberatore di Taranto, che, a cavallo facevano da battistrada, vide fermo all’angolo del palazzo Libertini, don Luigi de Vitis, un prete stravagante, il quale dopo il 1860 gettò la sottana alle ortiche. Appena il principe gli fu vicino, il prete cavò dall’abito una supplica, ma la mossa fu così rapida che si credette a un attentato, e le guardie d’onore si strinsero intomo al duca di Calabria, e dietro a loro si formò subito un po’ di folla. Però, visto che si trattava di ben altro, tutti risero, ma Francesco, impaurito, gridò alle guardie d’onore: “Caricate questa folla„, e volle rientrare in palazzo. I principi visitarono l’orto speri-