Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/403

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Luigi e Alfonso: questi ultimi, loro nipoti. Giunsero in Lecce a mezzogiorno e si recarono subito dal Re, che li accolse con affetto. Questi si era levato, non aveva febbre e assistette al pranzo, conversando allegramente cogl’imperiali congiunti. Si stabili di far sbarcare la sposa, non più a Manfredonia, ma a Bari, nei primi giorni di febbraio. Egli, il Re, partirebbe da Lecce, continuando il miglioramento, fra due o tre giorni e gli arciduchi promisero che si sarebbero trovati a Bari per l’arrivo della sposa e per assistere alla benedizione nuziale. La sera stessa ripartirono per Brindisi, che, impaziente di mostrare i magnifici preparativi fatti per il Re, colse l’occasione del ritorno dei cognati di lui, per illuminare la marina. Sotto un padiglione, l’arcivescovo, il sottointendente e le autorità civili e militari attendevano gli arciduchi, i quali, accolti gli omaggi, fra le acclamazioni tornarono a bordo dell’Elisabetta, che salpò per Palermo e Napoli.

Intanto l’annunzio della miglioria del Re, telegrafato anche a Vienna, si diffuse per la città e le dimostrazioni di gioia ricominciarono. Si volle cantare un Te Deum in duomo e s’invitò all’uopo papa Enrico Lupinacci, il miglior cantore ecclesiastico di Lecce; ma papa Enrico, buon liberale, nonostante le insistenze del Sozi Carafa, si finse infreddato e non volle cantare. Il Re riprese gli affari dello Stato e anche quelli della provincia, vietò al comune di Lecce di metter mano ad abbellimenti della città, per non aumentare i grani addizionali e promise una succursale del Banco di Napoli, promessa che non fu poi mantenuta.

La mattina del martedì, 25 gennaio, che era una bellissima giornata, Ferdinando II, sentendosi sempre meglio, mostrò desiderio di uscire, ed avendovi i medici acconsentito, usci infatti a piedi per la città, con tutta la famiglia. Li seguiva una folla sterminata e acclamante. Camminava lentamente ed era pallidissimo. Al ritorno, l’artista Antonio Maccagnani gli offri una statuetta di Sant’Oronzo, in cartapesta. Ferdinando gradi il dono e ordinò al maestro di casa di portarla nella sua camera da letto; anzi, per maggior sicurezza, lo seguì egli stesso per indicargli il posto preciso, dove la voleva collocata. Nell’attraversare il gran salone, il cui pavimento era incerato, raccomandò al Martello di guardarsi dal ruzzolare, temendo che la statuetta avesse