Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/452

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sco; ducati quindicimila al principe di Bisignano, e ducati cinquemila alla gente del mio servizio.

“Del rimanente si cresca la porzione dei maschi secondogeniti, ma disugualmente, distribuiti in ragion diretta degli anni d’età di ciascuno: affinchè i minori d’età abbiano, col moltiplicamento di più anni, raggiunta la porzione pari a quella dei maggiori fratelli.

“La villa Caposele a Mola, come bene libero, lascio al mio primogenito, al mio caro Lasa.

“E voglio questa mia disposizione abbia forza di legge di famiglia, non soggetta a giudizio di magistrato; ma giudice unica ed arbitro ne sia il mio successore, o chi lo seguirà „.


Fattoselo rileggere, sottoscrisse il testamento con mano tremante. In quegli ultimi giorni anche la sua scrittura, così chiara e nitida, aveva subita alterazione. Il patrimonio privato, del quale il Re disponeva, si componeva di rendite napoletane, siciliane ed estere, di oggetti preziosi, valutati circa 60 000 ducati, e di più che 40 000 ducati in doppie d’oro: in tutto superava i sei milioni e mezzo di ducati. La parte del duca di Calabria ascese a 666 256 ducati, e uguale fu quella della Regina; al conte di Trani toccarono 766 621 ducati, e poco meno agli altri fratelli, in proporzione dell’età. Le principesse ebbero ciascuna 377 604 ducati. Nella fortuna privata, di cui Ferdinando II dispose con questo testamento, non entrava il borderò di undici milioni di ducati, che egli aveva donato al duca di Calabria quando usci di minor età. Questi undici milioni rappresentavano i risparmi, le economie, le doti delle principesse, nonché la fortuna ereditaria della defunta Maria Cristina di Savoia, perchè Ferdinando II, dopo la morte di lei, non volle possedere più nulla in Piemonte e alienò pure il palazzo Salviati, che la Regina possedeva in Roma. Il prezioso borderò era intestato a don Gaetano Rispoli, primo uffiziale controllore a Casa Reale e custodito da don Giovanni Rossi, uffiziale di ripartimento nella stessa Casa Reale. Il Rossi, nell’ottobre del 1860, lo consegnò al governo della Dittatura che lo confiscò, destinandolo ai danneggiati politici.

Il 20 maggio, la gravità del male crebbe tanto, che i medici ritennero imminente la catastrofe. Erano sopravvenuti acuti