Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/453

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dolori al polmone sinistro e l’espettorazione veniva mancando. Alla Regina, al principe ereditario, a monsignor Gallo e al presidente del Consiglio dei ministri, i medici manifestarono che il triste momento si appressava. Nella Reggia non fu più un mistero che il Re era moribondo. Erano tutti costernati; il duca di Calabria, i principi e le principesse più grandi piangevano, ed era muta dal dolore Maria Sofia, sinceramente affezionata al suocero. Per mezzo del nunzio e del ministro di Napoli a Roma, fu chiesta per telegrafo la benedizione papale, che giunse poche ore dopo, con affettuose parole di Pio IX. Monsignor Gallo ebbe l’incarico di preparare il Re a ricevere l’estrema unzione e la benedizione del Papa. Ferdinando II non si mostrò sorpreso dell’annunzio, anzi volle ordinar egli stesso il necessario per la cerimonia religiosa. Disse che, oltre al cero rituale, se ne accendessero altri tre: uno della Candelora, uno del Supremo e uno della Santa Casa di Loreto, e ordinò che si portassero in camera due immagini, l’una rappresentante Gesù, che cade sotto la croce e l’altra, l’Addolorata. Quest’ultima fu tolta dalla stanza, dove gli era morto un figliuoletto, in ricordo del quale Ferdinando II aveva fatto voto di morire, con gli occhi rivolti a quell’immagine. I due quadri vennero collocati sopra due sedie, dirimpetto al letto. Durante la messa, che fece celebrare nella sua camera, il meno commosso dei presenti apparve lui, che stringeva in mano una effigie della Immacolata, impressa su drappo di seta.


Ricevuto l’olio santo, volle vedere tutti di sua famiglia anche i piccini e con le lagrime agli occhi li abbracciò e baciò tutti, li benedisse e loro raccomandò di amare la madre, di essere buoni, religiosi e devoti della Madonna. Abbracciò, baciò e benedisse Maria Sofia. Faceva grandi sforzi per apparire sereno e rassegnato. Raccogliendo la sua voce, già divenuta fioca, disse: “Lascio questa bella, cara ed amata famiglia; il Signore in questo momento mi dà la grazia di essere tranquillo e di non soffrire alcun dispiacere, di distaccarmi dalle persone e dalle cose le più amate; lascio il Regno, le grandezze, onori, ricchezze, e non risento dispiacere alcuno. Ho cercato di compiere, per quanto ho potuto, i doveri di cristiano e di Sovrano. Mi è stata offerta la corona d’Italia, ma non ho voluto accettarla; se io l’avessi accettata, ora soffrirei il rimorso di avere leso i diritti dei Sovrani, e special-