Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/265

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d’accusa contro costoro per crimine di eccitamento alla guerra civile, accompagnato da ferita che aveva prodotto deturpamento permanente (secondo il giudizio del perito Palasciano), sulla persona dell’ambasciatore di Francia, signor Brenier, reato che dal codice napoletano era punito coi ferri dai ventiquattro ai trent’anni. I Manetta furono validamente difesi dall’avvocato Francesco Bax. Avendo Garibaldi concessa un’amnistia per i reati politici, non congiunti a reati comuni, il De Falco sostenne essere l’amnistia inapplicabile ai Manetta; ma dopo l’arringa di Bax in pubblica udienza e dopo che Enrico Pessina, divenuto coi nuovi tempi sostituto procuratore generale, si associò alle argomentazioni di lui, la Corte criminale ordinò la scarcerazione degli accusati, i quali si ritirarono a Malta e vi stettero più anni. Si disse anche, che Brenier chiedesse per indennità dell’aggressione un milione di ducati, ovvero il palazzo reale del Chiatamone. Ma egli veramente non chiese nulla, tranne che fossero fatte al suo Sovrano speciali scuse dell’insulto, di cui era stato vittima.


Temevansi, nel giorno seguente, peggiori disordini e altre scene di sangue. Si diceva che il partito reazionario avrebbe profittato di quell’occasione per rinnovare la Santafede, indurre il Re a ritirare la Costituzione e a nominare un ministero di resistenza. Nella notte dal 27 al 28, fu proclamato lo stato di assedio, dandosi al generale Caracciolo di San Vito il comando della piazza. La mattina del 28, il nuovo prefetto di polizia, Liborio Romano, pubblicò il suo primo manifesto, col quale proibiva gli attruppamenti e le grida di ogni specie, che potrebbero ingenerare tumulti. Il manifesto cominciava cosi: “Le novelle istituzioni promettitrici e garanti al nostro bel paese d’un lieto e prospero avvenire non possono convenientemente radicarsi e produrre frutti soavi (sic), se il popolo non dà prova di averle meritate, aspettando con pazienza le nuove leggi e il tempo dell’oprare, rispettando l’ordine pubblico, le persone e la proprietà„. Il ministero costituzionale iniziava la sua opera, proclamando lo stato d’assedio, ma ciò faceva per garantire l’ordine e per avere il tempo di formare una guardia cittadina, a tutela della pubblica quiete, così come disse nella sua prima ordinanza il nuovo ministro dell’interno, Federico del Re. Furono date, difatti, il dì seguente, le necessarie istruzioni agli Eletti della città, per preparare le liste della guardia nazionale.