Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/266

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Il ministero del 27 giugno era formato quasi tutto di uomini miti e dottrinari, non atti a lottare contro la marea che incalzava da ogni parte e dalla quale furono addirittura travolti, quando all’Atto Sovrano segui, quattro giorni dopo, l’amnistia che spalancò le carceri e iniziò il ritorno degli emigrati. Si è veduto che Napoli fu in preda di gravi tumulti nelle sere del 26 e del 27 giugno, tanto che si fu costretti a ricorrere allo stato d’assedio, per pochi giorni. La vecchia polizia era sparita, e una guardia cittadina si andava formando. Liborio Romano, si disse, per consiglio di un vecchio generale borbonico, ebbe l’idea di reclutarla fra i camorristi e fra quei guappi, mezzo patrioti e mezzo camorristi, amnistiati anche loro e usciti dalla Vicaria e da San Francesco, o tornati dalle isole. Credeva facile cosa poterli disciplinare e s’illudeva forse di redimerli. I picciotti di sgarro sostituirono i feroci; e ogni capocamorrista, Michele ’o Chiazziere, lo Schiavetto, il Persianaro, Salvatore de Crescenzo, detto Tore ’e Crescienzo, e altri non meno celebri divennero gli entusiasti e romorosi capisquadra di questa nuova e strana guardia, senza uniforme e senz’armi, che solo portava un nodoso bastone in mano e una coccarda tricolore al cappello.

Fu un atto ardito e forse necessario per garantire, in quei giorni, l’ordine pubblico: atto probabilmente consigliato al Romano dalla disperata condizione delle cose, e che se da principio impedì peggiori disordini, tenne nonpertanto la città, prima che fosse formata la guardia nazionale, in uno stato di paurosa sovraeccitazione. Napoli era in balìa dei camorristi; e se non mancarono atti di probità e di generosità, specialmente nei primi tempi, non tardarono i malanni. Cominciarono, specie da parte dei mezzo camorristi, cioè dei guappi patrioti, le minacce e le estorsioni a danno dei borbonici o dei presunti borbonici, le vendette private, il contrabbando alla dogana e alle barriere; e crebbe enormemente il giuoco clandestino del lotto. Bisognava passar sopra a tutto, anche perchè quella polizia fini per servire ai due Comitati dell’Ordine e di Azione, soprattutto a questo, che più la carezzava e mostrava di tenerla in qualche conto. L’atto di don Liborio ebbe il suo bene e il suo male e potè essere giustificato dalle circostanze; ma il male peggiore fu quello di avere inquinata la nuova polizia, in guisa che, quando Spaventa, ministro sotto la luogotenenza del principe di Carignano, volle epurarla, la camor-