Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/311

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blicare un brano di lettera, che Luigi Giordano, animoso tramite tra il Comitato dell’Ordine e il Comitato insurrezionale di Cosenza, scriveva a quest’ultimo, in data 13 agosto:

La nostra situazione è tristissima poichè siamo minacciati dalla reazione, e ieri nella capitale si passò una giornata ed una notte spaventevole per tutti. Il conte di Aquila, cioè il principe don Luigi, avea organizzato il più terribile e schifoso moto reazionario, assoldando circa 6000 galeotti come lui, ed incitandoli alla santafede, protetti forse da qualche corpo militare a lui devoto. Il ministero, e soprattutto don Liborio Romano, si è portato egregiamente, poichè oltre all’avere sequestrate nella darsena molte casse di fucili e revolver, dirette al principe suddetto per armarne i suoi adepti, si portò unitamente agli altri ministri e al corpo diplomatico a palazzo, e obbligò il Re a cacciare un ordine di bando per il signor zio. Questa notte dovea partire, ma vi è qualche dubbio sulla sua partenza; epperò al momento che scrivo la capitale è tuttavia in allarme, e potrebbe nascere da un momento all’altro qualche terribile crisi. Gli ammiragli però piemontese, inglese e francese han promesso al primo segnale di allarme di far sbarcare dalle flotte 4000 uomini. La Guardia nazionale pure è ammirevole pel servizio che presta, ed è così affiancata dal popolo, che ci dovran pensar bene a far la santafede i così detti reazionari. Con tutto ciò l’agitazione è universale, e lo spavento de’ timidi è giunto al colmo.1


Di questa cospirazione del conte d’Aquila non mi è riuscito avere alcun particolare storicamente vero. Il Nisco la dà come certa, ed aggiunge che in quella cospirazione fossero l’Ischitella, il principe della Rocca e Girolamo Ulloa, chiamato prima dal Re per affidargli il comando supremo dell’esercito, e poi non più datogli, per le vivaci proteste, si disse, del colonnello Bosco. L’Ischitella non ne fa motto nelle sue memorie, anzi si dichiara fedelissimo a Francesco II e attribuisce a sè il merito di averlo consigliato a mandare un’altra missione a Parigi, per pregare l’Imperatore a salvare il Regno e la dinastia. Afferma pure che il Re accettò il suo consiglio e lo incaricò della missione, ma che fu da lui rifiutata perchè troppo tardi, aggiungendo di aver proposto invece il duca di Caianiello, che accettò. E conchiude poi cosi: ... era a Napoli che avrei potuto essergli utile, se avesse voluto .... avevamo quarantamila uomini riuniti attorno alla ca’ pitale, che non avrebbero nè disertato^ ne tradito, se avessero avuto alla loro testa qualcuno su cui poter contare. Il Nisco, alla sua volta, pare che confonda l’incarico dato dal Re ad Ischitella di

  1. Archivio Morelli.