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Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/40

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ciale doveva essere la visita dei Sovrani alla cappella di San Gennaro e si compì, con magnificenza, la mattina del 24. Alle dieci, una salva dai forti e dai legni da guerra pavesati a festa, annunciò l’uscita dei Sovrani dalla Reggia, i quali, seguiti da tutta la Corte in gran gala e da dieci paggi con torce accese, s’avviarono in vetture di gran gala al duomo, in mezzo a cordoni di truppa, dietro i quali si stipava una folla plaudente. Le carrozze procedevano quasi al passo e da tutti si ammirava Maria Sofia, che indossava un vestito bizzarro ed era bellissima.

Discesero il Re e la Regina innanzi alla porta maggiore del tempio, sotto un baldacchino sostenuto dagli Eletti della città, e in chiesa furono ricevuti dall’arcivescovo Riario Sforza e dal capitolo metropolitano. L’arcivescovo, deposta la mitra e il pastorale, diè loro a baciare il legno della Croce e porse l’aoqua benedetta. Il duomo era decorato riccamente: drappi di seta ornavano il cornicione dell’abside, tendine di merletto cadevano sui finestroni. A cornu evangelii sorgeva il trono reale con due sedie, due inginocchiatoi e due cuscini; a cornu epistolae, un palchetto per i principi e nella navata, due tribune, una per il corpo diplomatico e l’altra per l’aristocrazia ascritta al libro d’oro. Dirigeva la musica il maestro Parisi e pontificava il Riario Sforza. La sedia e il cuscino del Re erano coperti da un setino, che il principe di Bisignano tolse, quando il cardinale col suo forte vocione intonò: domine salvum fac Regem nostrum Franciscum Secundum et Reginam nostram Mariam Sophiam. Detta la messa, venne cantato il Te Deum. Dopo la benedizione, Riario Sforza presentò, secondo il costume, mazzetti di fiori ai Sovrani e ai principi ed insieme si recarono alla cappella di San Gennaro. Sebbene la testa del santo fosse esposta sull’altare, il sangue raccolto nelle ampolline si liquefece: “avvenimento nuovo, scriveva il foglio ufficiale, a memoria d’uomo, da tutti udito con divota compiacenza, ed a ragione riguardato come faustissimo presagio„. Tornarono i Sovrani alla Reggia con lo stesso corteo e di là assistettero allo sfilare delle truppe, che rientravano nei quartieri. Per la circostanza non mancarono i versi. Son da ricordare, nella loro rozza ingenuità, quelli che si leggevano sulla porta principale della chiesa del Gesù, scritti da don Domenico Anzelmi: