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Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/80

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visato dedicarci al maneggio delle artiglierie nazionali, a cui molti cittadini non potrebbero addirsi per la grave fatica ed il lungo e continuato esercizio di che abbisognano le manovre de’ cannoni. Questo voto di un pugno di uomini, lontani dalla società, è sagro; ed io interprete dei sentimenti di tutti lo presento a Voi, onde ne facciate consapevole il Ministero dell’Interno, da cui dipendono le forze armate dei cittadini.

Da questo giorno tutte le opere superanti ai doveri del nostro impiego saranno dedicate ad approvare gli usi e le pratiche dalla vita di un artigliere, a me non nuove, perchè, nato di vecchio e prode soldato di artiglieria, ed a molti de’ compagni note pe’ racconti de’ padri loro, i quali custodi di queste rovine ne’ difficili tempi del 1799, tutti corsero all’armata ad ingrossare le file degli artiglieri e de’ zappatori.

Cittadino, la nostra volontà è decisa; tra poco 20 uomini potranno caricare due cannoni e puntare alla distruzione dei nemici della patria.

Noi non attendiamo che un vostro appello, il quale ne indichi essere accetta alla guardia nazionale del Distretto l’opera nostra, e le non lievi fatiche che dovremmo durare; e fidate poi nella purezza delle nostre intenzioni, concepite qui dinanzi alle mura di una città osca, che non mai fu vinta dalla guerra sociale; nella fermezza de’ nostri proponimenti, giurata per l’ombra di quel soldato, che lasciato a custodire la porta Erculanea di questa città, trovammo morto al suo posto, mettendo innanzi alla vita l’onore; nell’ardore de’ nostri affetti, comechè tutti nati d’appresso a questo Vesuvio non è guari rimugghiante di spaventevoli tuoni di libertà.

Il primo squillo di tromba cittadina che ne invita a pugnare all’ombra del vessillo tricolore dell’italico risorgimento, troverà noi desti e pronti a seguìre i reggimenti della guardia nazionale del distretto; il lampo de’ cannoni costituzionali ridurrà cenere il malvagio nemico della italiana redenzione, come la folgore del cielo, dove la stella Ausonia ritorna a sfavillare, di fulgidissima luce, quale nelle notti più serene dei secoli che furono.

Pompei, 4 marzo 184S

L’Ispettore degli scavi di Pompei
Giuseppe Fiorelli.



Come si può immaginare, cominciata la reazione, non tardarono le accuse politiche a colpire il Fiorelli. Il ministro Longobardi nel 4 novembre 1848, su denuncie ricevute, invitò la polizia del distretto di Castellamare ad indagare sul conto del Fiorelli, di Raffaele d'Ambra e di Giuseppe Abate, perniciosissimi per carattere torbido, autori di sospette unioni in Pompei nelle quali distinguevansi i più esaltati demagoghi. Una inchiesta preparata da un ispettore di polizia, fu riconosciuta un mese dopo, sufficiente ad essere tramutata in un regolare processo penale. Ben cinque volte tornò il processo all’esame della Corte criminale, fino a quando, prosciolto il D’Ambra, non senza le meraviglie de’ suoi compagni, il Fiorelli venne tratto in arresto a’ 24 apri-