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[1284] del vespro siciliano. 287


d’Affrica, tra Tunisi e Tripoli; impresa, dicea, al nome cristiano gratissima, a loro utilissima, perchè quei can maumettisti securi e imbelli nelle ricchezze nuotavano. Gli fan plauso le ciurme: invocan Dio e la Vergine; e arsi di cupidigia navigano alle Gerbe. Giunservi il dodici settembre. La notte posta una galea nel canale tra l’isola e la terraferma, breve e guadoso a basso fiotto, e tolto così lo scampo, agl’indifesi abitatori dan di mano. Qual rimorso con infedeli? Ammazzato al par chi resiste e chi fugge; quanti ascondeansi in cave sotterra, sbucati come volpi col fumo; i più menati schiavi; e d’oro, argento, masserizie fu grandissima la preda. Due mila i prigioni, secondo il Montaner, sei mila secondo il Neocastro; e gli uccisi sommarono quattro mila, ch’è orribile a dirsi, ma forse vero, perchè non credo uno scrittore sì insensato da cercar vanto qui nell’esagerare. Ciò temo del Montaner quando leggo il bottino di questa e somiglianti imprese; onde parmi, che da soldato avventuriere ch’egli era, contava sogni d’invidia, scrivendo come tolte tutte le spese, tanta preda si spartisse tra le genti di Loria, che sdegnavan poi a gioco tutt’altro conio che d’oro, e appena avrian sofferto nella bisca chi ponesse mille marchi d’argento. Si riscattarono gl’isolani avanzati alla schiavitù o alla spada; giurarono omaggio alla corona di Sicilia1; e l’ammiraglio

    • Bart. de Neocastro, cap. 83 e 84.
    • Nic. Speciale, lib. 1, cap. 30.
    • Montaner, cap. 117, il quale porta con anacronismo questa correria dopo il passaggio di Giacomo in Calabria, e la confonde con le altre che Loria fece di quel tempo in Levante.
    Del resto la descrizione geografica di questi istorici, si riscontra con quante oggidì n’abbiamo più accurate. Quest’isola è detta anche Zebiba, e tolse il nome o il diè, a quella qualità d’uva che chiamiam così in Sicilia. Giace a 34° 10’ di latitudine sett. e 9° di longitudine orientale dal meridiano di Parigi. La cinge una sirte di qualche dieci miglia di raggio, e da 3 a 7 braccia di profondità, che si stende a guisa d’istmo infino al continente, e potea una volta passarsi a guazzo. Plinio scrive che i barbari ruppero un ponte che la congiungea alla terraferma. Produce quest’isola ulive, fichi, uva, e il famoso loto de’ Greci antichi.