Pagina:La guerra del vespro siciliano.djvu/331

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[1283-85] del vespro siciliano. 315

capo di difesa, per ischivar anco la quistione del dritto della corte di Roma, quella donazione de’ reami ad Alfonso, di cui parlammo di sopra1; ma Pietro non l’usò perchè la lite si trattò poi con la spada. Anzi sentendo la propria sua forza nel navilio, e negli ordini d’entrambi i reami d’Aragona e Sicilia, scherzava su la sentenza del papa, chiamandosi non più re, ma Pier d’Aragona, cavaliere, padre di due re, e signor dei mari2. Con la stessa non curanza e col brio d’un cavalier trovadore, ei poetò in provenzale: turbarlo sì questa mostra de’ gigli; ma si vedrebbe alle prove se gli torrebbero il baston giallo e vermiglio, o se troverebbe la perdizione in Ispagna chi verrebbe a cercarvi la perdonanza: per sè ei non chiedeva armadura in questa guerra, sol che la sua donna lo confortasse con un sorriso3.

Un’altra ambasceria inviò in Francia a dolersi della rotta fede; ove ai suoi legati non pur fu dato di vedere il

  1. Veg. il cap. 8.
  2. Gio. Villani, lib. 7, cap. 87. Accenno senz’altro una diceria di papa Martino su la deposizione di Pietro d’Aragona, e una risposta di Pietro, scritte in versi leonini, che ho trovato nei Mss. latini della Bibl. reale di Parigi, 2477, fog. 83. Quattordici di questi versi son regalati al papa, quattordici al re; e tutto è manifestamente la fattura d’uno dei più ottusi ingegni del tempo, senza una sola frase che possa meritare attenzione, sia istorica, sia letteraria.
  3. Le Parnasse Occitanien, ou Choix de Poésies originales des Troubadours, Toulouse, 1819, pag. 290, 291. Ivi si leggono questi versi di Pietro d’Aragona, e le risposte del trovadore Pietro Selvaggio e del conte di Foix.