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[1285] del vespro siciliano. 339

a Villafranca di Panadès1. Quivi temendosi già di lui, venne ansioso Alfonso; e il re che non pensava alla propria vita, ma all’impresa di Maiorca, sgridavalo: «A che lasciare l’armata? Or se’ tu medico da stare attorno al mio letto! Di me sia ciò che Dio vorrà, ma tanto più preme occupar di presente Maiorca2

Andò dunque l’infante, e se n’insignorì tra pratiche e forza d’arme, con picciol contrasto3. Risplendeva in quello incontro il valore de’ nostri; perchè fortificatisi in una rilevata chiesa fuor la città i più fedeli al re di Maiorca, con Francesi e Provenzali, avean ributtato i replicati assalti della gente catalana e dell’isola: ma quando Alfonso, per pensiero dell’ammiraglio, fece sottentrar nel combattimento i Siciliani dell’armata, «Viva Sicilia» levan essi il grido; danno nelle trombe, e montando su per scale e remi, d’un solo stormo impetuoso fur dentro, e finirono la guerra4.

Nel medesimo tempo navigava que’ mari Carlo II d’Angiò, mandato di Sicilia dall’infante, dice il Neocastro, pe’ comandi risoluti di Piero, e’ consigli di Procida, che ammonialo a posporre a’ doveri verso il padre ogni utilità sua propria e dell’isola; ma piuttosto fu che Giacomo col re fortuneggiante avea disputato, al vincitore ubbidiva 5. Perciò dopo alcune pratiche, che son da supporsi e forse ancora con l’intesa di Roma (ritraendosi data licenza dalla romana corte d’aprile milledugentottantacinque a

  1. D’Esclot, cap. 168. Montaner, cap. 140, 141, 142. Bart. de Neocastro, cap. 97, 100. Surita, Ann. d’Aragona, lib. 4, cap. 71.
  2. Montaner, cap. 143.
  3. Montaner, cap. 144. Bart. de Neocastro, cap. 97.
  4. Nic. Speciale, lib. 2, cap. 6.
  5. Bart. de Neocastro, cap. 99.