Pagina:La guerra del vespro siciliano.djvu/358

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342 la guerra [1285]

Questo fine ebbe di quarantasei anni, verde di forze, nel maggior vigore della mente, nel colmo della fortuna; vedendo dissipata l’oste di Francia; confuso il re di Maiorca; mancati Carlo, Filippo l’Ardito, papa Martino; il novello re di Napoli nelle sue forze; scompigliato quel reame; la Sicilia sicura e obbediente; la sua flotta signoreggiante il Mediterraneo; per sè la riputazion della vittoria, da por freno in ogni luogo agli stessi suoi sudditi. Grande fu e ben fatto della persona, robusto di braccio, d’animo audacissimo, perseverante, ingegno da abbracciare gran disegni e non saltar le minuzie, scaltrito, chiuso, infaticabile; tutte le parti ebbe di capitano egregio. Gli furon queste nelle cose di stato or vizi or virtù, secondo la giustizia dell’intento, a che mai non attese. Indi la discordia, non da savio, con le corti d’Aragona; le dubbie vie contro i baroni di Sicilia; le frodi e gl’inganni che macchinò con arte profonda; le vendette efferate ne’ suoi nemici, alle quali proruppe per l’atrocità de’ tempi, per la fierezza dell’animo, non curante strazio e morte nè in sè nè in altrui, per la crudeltà della mente assorta negl’intenti politici, fatta cieca alla conoscenza de’ veri beni propri ed altrui, miscredente a’ dritti degli uomini, ghiacciata contro ogni alito di lor carità. Avventurosa la Sicilia che sel trovò nel pericolo, e sen disfece tosto; perchè era di tempra da agognar sempre o fuori o in casa. Gli uomini poi scordarono i danni di quella molesta fortezza, e diergli il meritato soprannome di Grande1.

  1. Queste particolarità son cavate da tutti gli storici del tempo che inutile sarebbe citare. Alcune ne dobbiamo al Surita, lib. 4, cap. 71.

    Quel che par sì membruto, e che s’accorda
    Cantando con colui dal maschio naso,
    D’ogni valor portò cinta la corda.
    . . . . . . . . . . . . . . .
    Tant’è del seme suo minor la pianta,
    Quanto, più che Beatrice e Margherita,
    Costanza di marito ancor si vanta.

    DANTE, _Purg_., c. 7. Carbonell, op. cit., fog. 70, scrive, che Pietro fu chiamato ancora il Francese: ma il vanto mi sembra troppo; e questo soprannome si è dimenticato a ragione.