Pagina:La lanterna di Diogene.djvu/158

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giù per la fronte: «Signore, signore! l’orologio non si è fermato, non si ferma; e la morte si è avvicinata!»: l’orologio sul comodino faceva e tic-tac e tic-tac, nel buio.

Mi butto giù dal letto, spalanco la finestra: «Oh, mio Signore! che meravigliose cose!»

Il sole saliva fuori dell’amplesso del mare. Era lo spettacolo di tutte le mattine; ma quella mattina mi fece un effetto....!

Allora il mantice del petto che era chiuso, respirò liberamente.

Lasciamo stare questo «mio Signore»; oramai tutti sanno che il Signore, il quale per gli idioti sta fuori di noi; per gli uomini evoluti si trasferisce dentro di noi. Ciò è molto lusinghiero: peccato che anche essendo piccoli numi, le cose rimangano quelle di prima, e noi ci sentiamo paurosamente soli lo stesso.

Sopratutto rimane la morte, e questa fa venire la pelle d’oca. Usciamo all’aperto!

Da una villetta, nel chiuso e sonnolento mattino, usciva un palpitante scandere di note di cembalo; da un’altra villetta lontana rispondevano altre note, con un’impressione vaga di cuori e di stromenti che si destano anch’essi: poi si facevano più legati quei suoni, sino a salire su, — ma con istento — per le voluttà, di un motivo languido e profondo, che si stendeva per l’aria rosata.