Pagina:La lanterna di Diogene.djvu/227

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talora nei boschi i rosignoli tutta la notte confortano le ascoltanti tenebre. Anche quella voce parve a me conforto di tenebre: questo antico Po, testimone di tanta storia, presso il quale eravamo, e fluente a pena; quella tomba eroica di Annita; quelle feroci anime di lavoratori di Romagna; quelle selvagge terre parevano alla gentilissima voce domandare alcuna interpretazione. Gli squilli della voce gentile cadevano su quella ferocia cupa di aspre torre e di aspri cuori, come colpi di martello che raffina la dura lamina e la tempera all’opera buona: la lietezza di quella voce pareva accennare alla luce ridente dell’alba del domani, non al sanguigno tramonto e all’imminente notte.

— Dunque andiamo, amicone! — e la mano del compagno, generale in capo, si posò sulla mia spalla. — Già, alla finestra la non si vuole affacciare.

«Come è eloquente la donna quando tace e quando canta! E anche qui, Venere! Essa pervade la materia. Però anche noi non facciamo altro che andarla sempre a cercare!»

A questo punto delle mie considerazioni vidi il generale in capo cader di sella: il fratello cadde per secondo, terzo caddi io: dissi di no a me stesso, ma caddi medesimamente. Queste furono le tre prime cadute, le altre non