Pagina:La leggenda di Tristano, 1942 – BEIC 1854980.djvu/349

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appendice 343


leali amanti furono tre nature: imperò ch’eglino furono fiore di cortesia e di bellezza e di gentilezza; e furono acerbi in quanto e’ ricevettono molta tabulazione; e furono maturi e dolci, imperò ch’el loro diletto fu tanto, che no’ curavano di neuna tribulazione. E fu quell’albero vite, a significare che sí come la vite fae frutto e inebria altrui, cosí la vita di Tristano e Isotta fu albero d’amore, e appresso il quale confortava e inebriava ogni fine amante.

E soppelliti che furono gli due leali amanti, e fatto per loro lo maggiore lamento del mondo, e lo re Marco diceva: «Ahi bello mio nepote Tristano, quanti saranno quelli che oggimai conturberanno mio stato, li quali lasciavano per vostra temenza! Ché quando lo re d’Irlanda saprá vostra morte, sí vorrá che siamo servi, sí come fummo mai per altri temporali: e quando lo saprá lo re Artus e lo re Governale di Leonis, e Lancialottoe gli altri cavalieri erranti sí prenderanno vengianza sopra di me e sopra mio reame. Ahi, bello mio nepote, quanto per voi è tristo lo mio cuore! che io conosco che, sí come lo mio reame fu per voi diliberato, e tratto di servitudine, cosí per vostra morte, lo reame sará distrutto e le genti consumate, e amici e nemici prenderanno vengianza sopra di me, sappiendo sí come io sono stato cagione di sí grande dannaggio». E lo lamento durò da XXX giorni, che tutti gli baroni sedevano davante la grande chiesa dal mattino infino a ora di terza, e da nona per infino a ora di vespro, tutti colli loro cappucci in su gli occhi; e’ varvassori e gli borgesi stavano tutti scapigliati, e tutti mangiavano sanza tovaglia; e gli baroni e li cavalieri facevano robe di nero per un anno, e cosí faceano donzelli e altra buona gente: e durò quella scuritá tutto quello anno. E quelle furono le prime robe di nero che fossono al mondo; e anche lo re Marco e tutte dame di paraggio si vestirono a nero: e questa scuritá fu fatta per amore del buon messer Tristano e di Isotta. (Cap. CXXXI).