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in un potere adeguato all’infinità della potenza ch’essi non conoscono, e lo incaricano del peso del dolore ch’essi non sanno portare. Il dio che onorano, cui dànno tutto, è_jj dio della φιλοψυχία, è il piacere: questo è il dio familiare, il caro l’affabile il conosciuto. L’altro l’hanno creato e lo pagano, perchè s’incarichi di ciò che ogni volta trascendendo la potenza del singolo, apparisce ad ognuno come il caso, e sorvegli la casa mentre essi banchettano e volga tutto al meglio.
Anche questo abilmente ha macchinato il dio familiare per meglio aver in sua mano gli uomini. «Se tu ci sei», egli soffia all’orecchio d’ognuno, «sei ben certo per lo meglio, e bisogna ormai che quella Provvidenza che t’ha messo al mondo, provveda a ciò che tu sia sicuro in questo mondo fatto per te, e purché tu viva contento non te ne incaricare». Ma la sorda voce dell’oscuro dolore non però tace, e più volte essa domina sola e terribile nel pavido cuore degli uomini.
Come quando affievolendosi la luce nella stanza, l’imagine delle care cose onde il vetro vela l’oscurità esterna, si fa più tenue, e più visibile si fa l’invisibile; cosi, quando la trama dell’illusione s’affina si disorganizza si squarcia, gli uomini, fatti impotenti, si sentono in balia di ciò che è fuori della loro potenza, di ciò che non sanno: temono senza saper di che temono. Si trovano a voler fuggire la morte senza più