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è in breve tempo finita; e la brevità dell’orizzonte è attuale in ogni punto nella superficialità dolla relazione. Cosi mentre il possesso della cosa gli sfugge, gli sfugge la padronanza della propria vita, che non può affermarsi infinitamente, ma solo in rapporto alla cerchia finita; che non può riposare nell’attualità, ma è trascinato dal tempo ad affermarsi nei limiti dati sempre avanti, senza per più girare prender più delle cose, e giungere nel possesso di queste al possesso attuale di sè: alla persuasione. Così adulandolo il dio della φιλοψυχία si prende gioco di lui.
E l’uomo, pur mentre gioisce dell’affermazione, sente che questa persona non è sua, che egli non la possiede. E al di là della cerchia della sua previsione che procura la vicinanza della data lontananza, che supera le date contingenze alle quali la sua persona è sufficiente, egli sente l’agitarsi d’altre infinite volontà nella cui contingenza ancora sono le cose che sono nella sua coscienza e alle quali inerisce il suo futuro. Al disotto della superficialità del suo piacere egli sente il fluire di ciò che è fuori della sua potenza e che trascende la sua coscienza. La trama nota (finita) dell’individualità illusoria che il piacere illumina, non è fitta così che l’oscurità dell’ignoto (infinito) non trasparisca. E il suo piacere è contaminato da un sordo e continuo dolore la cui voce è indistinta, che la sete della vita, nel giro delle determinazioni, reprime. Gli uomini hanno paura del dolore, e per sfuggirlo gli applicano come ernpiastro la fede