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può affermar sé stesso nell’affermazione di quelli, che sono dati in lui, come è data la correlativitá, da una contingenza che è fuori e prima di lui: egli non può muoversi a differenza delle cose che sono perché egli ne abbia bisogno: non c’è pane per lui, non c’è acqua, non c’è letto, non c’è famiglia, non c’è patria, non c’è dio – egli è solo nel deserto, e deve crear tutto da sé: dio e patria e famiglia e l’acqua e il pane. Poiché quelli che il bisogno gli addita, quelli sono il suo stesso bisogno: quelli restano sempre lontani, quanto il suo bisogno di continuare li projetterá sempre avanti nel futuro: quelli non li potrá mai avere, ma quando vada a loro essi s’allontaneranno: poiché egli rincorrerebbe la propria ombra.
No, egli deve permanere, non andar dietro a quelli fingendoseli fermi perché essi lo attraggano sempre nel futuro; egli deve permanere seppur vuole ch’essi gli siano nel presente, che siano suoi veramente. Egli deve resister senza posa alla corrente della sua propria illusione; s’egli cede in un punto e si concede a ciò che a lui si concede, nuovamente si dissolve la sua vita, ed ei vive la propria morte – in ciò che prendendo la sufficienza del suo bisogno, che la paura della morte ha determinato, egli ha affermato la sua propria insufficienza, ha chiesto ad altri appoggio alla sua vita, ha preso la persona della fame per aver fame ancora nel prossimo istante, mentre questo istante doveva esser l’ultimo per lui. Questo rimorso, questa morte di sé