Pagina:La persuasione e la rettorica (1913).djvu/73

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il segno della persona che non hanno, «il sapere» come già in loro mano. – Non sentono più la voce delle cose che dice loro «tu sei», e nell’oscurità non hanno il coraggio di permanere, ma cerca ognuno la mano del compagno e dice: «io sono, tu sei, noi siamo», perché l’altro gli faccia da specchio e gli dica: «tu sei, io sono, noi siamo»; ed insieme ripetono: «noi siamo, noi siamo, perché sappiamo, perché possiamo dirci le parole del sapere, della conoscenza libera e assoluta». - Così si stordiscono l’un l’altro.1

Così poiché niente hanno, e niente possono dare, s’adagiano in parole che fingano la comunicazione: poiché non possono fare ognuno che il suo mondo sia il mondo degli altri, fingono parole che contengano il mondo assoluto, e di parole nutrono la loro noia, di parole si fanno un empiastro al dolore; con parole significano quanto non sanno e di cui hanno bisogno per lenire il dolore – o rendersi insensibili al dolore: ogni parola contiene il mistero – e in queste s’affidano, di parole essi tramano così un nuovo velo tacitamente convenuto all’oscurità: καλλωπίσματα ὄρφνης: «Dio m’aiuti» – perché io non ho il coraggio d’aiutarmi da me. –

  1. Per la stessa inadeguata affermazione gli uomini hanno piacere a cantare o recitare cose degli altri. –