Pagina:La persuasione e la rettorica (1913).djvu/81

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lo aveva altra volta adulato colla voce del piacere: «tu sei», o in quelle che prodighe di piacere agli altri egli conosca. Ma nel punto ch’egli fa questo, già è fuori del giro sano della sua potenza, che non più cerca il cibo, o la donna, o il vino come necessari alla continuazione della sua potenza, alla sua salute, e nella misura a questa conveniente, ma cerca il sapore pel sapore. Egli cerca quello che già non è più nel punto che lo cerca. Euridice che gli dei infernali concessero ad Orfeo, era il fiore del suo canto, del suo animo sicuro. Quando egli nell’aspra via e oscura verso la vita, si volse, vinto dalla trepida cura, già Euridice non era più.

Per quanto uno provi e riprovi «i piaceri», si metta e si rimetta nelle posizioni note, le troverà, come inconvenienti, insipide o spiacevoli. Egli ha perduto la salute. Il sapore era l’attualità della sua stessa persona, che voleva essere ed in questa attualità godeva l’illusione dell’individualità: volendo questa come valore a sé, egli si sdoppia, si guarda nello specchio, egli vuol goder due volte di se stesso1 e per vanità sempre più vano facendosi degenera. Il piacere non è più il suo piacere, ma è il luogo comune, sono «i piaceri». E verso quelli egli si afferma sempre inadeguatamente, che non ha più il criterio ma è fuori della propria potenza: è la rettorica del piacere.

  1. Io voglio il mio godimento = voglio me stesso volente (poiché il godimento già non è che il correlativo della mia volontà, la mia stessa persona).