Pagina:La secchia rapita.djvu/112

Da Wikisource.

SESTO 99


XXXI.


Il re che si rivolge e ’l guardo gira,
     E ’l suo periglio in un momento ha scorto,
     Dal profondo del cor geme e sospira;
     252Che senza dubbio alcun si vede morto;
     Ma il dolor cede, e si rinforza l’ira;
     Nè vuol morir senza vendetta a torto:
     Stringe la spada, urt. il destriero, e dove
     256Più chiuso è il passo, impetuoso il move.

XXXII.


Qual tigre in su la preda alla foresta
     Colta da’ cacciatori e circondata,
     Poichè al periglio suo leva la testa,
     260Volge fremendo i livid’bocchi, e guata;
     Indi s’avventa incontra l’armi, e resta
     Del proprio e dell’altrui sangue bagnata:
     Tal fra l’armi nemiche il re s’avventa;
     264Chè ’l magnanimo cor nulla paventa.

XXXIII.


Mena al primo ch’incontra: e a Braganosso
     Figliuol di Pandragon Caccianemico
     L’elmo divide e la cotenna e l’osso,
     268La faccia, il petto, e giù fino al bellico.
     Indi toglie la vita a Min del Rosso,
     Ch’un’armatura avea di ferro antico,
     Da suo bisavo in Francia già comprata,
     272E tutti la tenean per incantata.

XXXIV.


Non la potè falsar la buona spada;
     Ma piegò il cavaliero in sulla sella,
     E scorrendo all’insù per dritta strada,
     276Passò la gola, e uscì da una mascella,
     Onde convien che Mino estinto cada:
     Vinto è l’incanto da nemica stella.
     Non può cozzar col ciel l’ingegno umano;
     280Ch’eterno è l’uno, e l’altro è frale e vano.