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Pagina:La sicilia nella divina commedia.djvu/23

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La Sicilia nella Divina Commedia 19

ritrovare la vera cagione, mosso dalla quale l’Alighieri nel c. III del Purg. (v. 116) abbia chiamato questo principe onor di Cicilia e nel 1308 (secondo la lettera di frate Ilario) avuto intenzione di dedicargli la cantica del Paradiso, mentre poi in parecchi altri luoghi di questa e d’altre sue opere lo abbia censurato aspramente[1]. Il Vigo[2], dopo una lunga ricerca intorno all’Aragonese, ai fatti storici contemporanei, ed alle relazioni di lui col poeta, si accosta all’opinione del Fraticelli[3], secondo il quale egli gli sarebbe divenuto nemico dopo il rifiuto della signoria di Pisa, offertagli dal partito ghibellino in Toscana (1313); scagiona inoltre Federico da ogni accusa mossagli da Dante, il quale in ciò fare sarebbe stato trascinato da ira ghibellina e per essere di natura trasmutabile (!!).

Non è questo il luogo di fermarci ad esaminare la questione; solo diremo che noi propendiamo al parere del Bartoli[4], il quale non solo dimostra apocrifa la lettera di frate Ilario e quindi priva di fondamento l’intenzione della dedica della terza cantica, ma sostiene che in Dante, dal Convito al Volgare Eloquio, da questo al Purgatorio, dal Purgatorio al Paradiso è sempre la stessa nota, sempre lo stesso odio e disprezzo per l’Aragonese. Quanto poi a spiegare l’espressione applicatagli dal poeta di «onor di Cicilia», alcuni la vogliono usata in senso ironico[5],



  1. Vedi Purg. VII, 117; Par. XIX, 130-135; XX, 63; Vulg. el. 12 e Conv. IV, 6.
  2. Dante e la Sicilia (in Riv. sicula, vol. III, pp. 70-72, 314-334); in questa ricerca l’aveva preceduto Mario Musumeci (Ragionamento intorno alle sfavorevoli espressioni di Dante per Federico II re di Sicilia, Catania, Galatola, 1864), contraddicendo a Silvestro Centofanti (Se D. A. dedicasse a Federico III re di Sicilia la Cantica del Paradiso, in Antologia, a. 1832, voll. 45 e 46, n. 134 e 136). Il Can. P. Castorina (Catania e D. A., pp. 18 sg. e n. 45) a proposito di un articolo della Rassegna nazion., 1, apr. 1883, ripiglia in maniera debole e vana le idee del Vigo e del Musumeci.
  3. Vita di Dante, cap. VII; né da lui si discosta gran fatto il Bianchi. Veggansi le opinioni in proposito del Di Giovanni e dell’Amari, in Ferrazzi (Manuale dant., V, 382-3).
  4. Storia della lett. ital., pag. 194 sgg. e nota 4 a pag. 195.
  5. G. Grion (in Giorn. stor. della lett. ital., vol. III, fasc. 7, p. 64) mette innanzi l’ipotesi che l’ironia di questa espressione sia riposta nel doppio significato dell’antico vocabolo aunor (onore e onta).