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per segno di dipendenza s’innalzasse sul castello la bandiera greca.
A questo il Vignoso formalmente si oppose, e colto il pretesto che in tal frattempo il già menzionato Giovanni Cibo, che aveva nominato castellano di Focea nuova, intesosi col governo bizantino, con una mano di Greci aveva tentato d’impadronirsi per sorpresa di Scio, nella quale azione perdè la vita, continuò, come prima, a tranquillamente governarla.
Essendo dopo alcun tempo mancato di vita questo prode ammiraglio, e risiedendo in Genova la maggior parte degli azionisti, fu forza di dare in appalto la riscossione delle entrate dell’isola ad un’altra società ugualmente composta di Genovesi, la quale, col nome di Maona nuova, erasi in essa già costituita pel commercio del mastice. Presto però essendosi dai vecchi maonesi venuto per affari di amministrazione a contestazione con essa, per metter fine alle loro vertenze s’indirizzarono le due Maone nel 1362 al doge Simon Boccanegra1, che le condusse ad un equo componimento, pel quale la nuova in tutto subentrò alla vecchia, e si obbligò solidariamente a soddisfare in Genova a quanto potesse spettare a cadun suo partecipante.
Questa nuova società, ai cui membri fu vietato di alienare a stranieri alcuna azione, era composta di Nicolò Caneto, Giovanni Campi, Rafiaele Forneto, Francesco Arangio, Nicolò di S. Teodoro, Gabriele Adomo, Paolo Banca (in atto del 29 settembre 1376 segnato come membro del consiglio degli anziani col nome di Giustiniani), Tommaso Longo, Andriolo Campi, Luchino Negro, Pietro Olivieri e Francesco Garibaldi, che essendo dodici formarono un egual numero di azioni, alle quali si aggiunsero due terzi d’una tredicesima per Nicolò di S. Teodoro. Ogni azione si divise in tre luoghi o caratti grossi, che suddividendosi in otto parti formarono 304 caratti piccoli, e di questi vari essendo stati venduti, passarono ai Reccanelli, che coi precedenti, abbandonando, ad eccezione dell’Adorno, il nome del proprio casato, adottarono quello di Giustiniani2, e