Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/211

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178 annotazioni.

dro, Anassimene, Anassagora, mentre, a dir poco, basterebbe a sei generazioni.

II. Diceva principio l’infinito. — ἀρχὴν τὸ ἄπειρον. — Si tiene che Anassimandro abbia il primo usato del vocabolo ἀρχὴ per indicare il principio delle cose. Che cosa intendesse per questo principio ch’e’ chiama infinito, è disparere tra gli antichi. Secondo il Ritter, la maggior parte delle tradizioni svariate che sussistono in proposito, forse sono in opposizione per mero equivoco, e quindi è miglior consiglio attenerci al più sicuro testimonio di Aristotele e di Teofrasto, i quali concordano nel dire che per infinito Anassimene intendeva la mescolanza delle differenti specie di parti costitutive, di cui le singole cose ebbero a formarsi per mezzo della separazione. Questa idea si ravvicina a quella dell’antico caos. Perchè poi Anassimandro considerasse l’ente primitivo come infinito, tiene naturalmente a spiegarsi pel numero infinito degli sviluppi del mondo che hanno la loro ragione in quest’ente primitivo. Quest’ente nell’idea del nostro filosofo è una unità immortale, non peritura; è il principio che eternamente crea, derivando quest’azione di creare le cose particolari dal movimento eterno dell’infinito. — Ecco attribuita da Anassimandro all’infinito una forza viva sua propria. — Ciò nol divide gran fatto, segue il Ritter, dalle idee filosofiche di Talete e di Anassimene. La differenza sta nel modo di derivare le cose particolari dall’ente primitivo. Anassimandro non fa nascere le qualità sensibili delle cose dal cangiamento che si opera nelle qualità dell’ente primitivo, ma bensì, per un movimento eterno, dalla separazione dei contrarj, quantunque contenuti e riuniti tutti in una unità nell’infinito. Il principio primitivo adunque è per vero una unità, ma nullameno già contenente la moltiplicilà degli elementi, di cui le cose si compongono, i quali non hanno bisogno che di essere separati per comparire come