Vai al contenuto

Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/302

Da Wikisource.

annotazioni 267

miamo indipendentemente dagli organi dei sensi, per la forza che sente col mezzo di questi organi. È manifesto che noi possiamo pensare a due sensazioni di organi differenti, poichè noi le pensiamo entrambe come esistenti; ciascuna come esistente in sè, e tutt’e due insieme come due, riflettendo sulla loro somiglianza e differenza, ed acquistando per sì fatto modo la cognizione di ciò ch’esse hanno di comune e che vale per tutte le sensazioni. Per la qual cosa si dee attribuire all’anima, oltre la forza ch’essa esercita per facoltà corporee, un’altra forza ancora, quella cioè di indagare di per sè stessa ciò che tutte le sensazioni hanno di comune. Il che posto, trattasi di determinare ciò che opera nell’anima umana questa forza a pro del pensiero. Il nostro filosofo contrappone quello che si percepisce dalla sensazione, e quello che perveniamo a conoscere per riflessione ([testo greco]), col mezzo dell’intendimento, o della riflessione razionale, ([testo greco]). Ora ciò che si percepisce dalla sensazione è per esso il cangiamento costante, il flusso non non interrotto di quello che avviene, il batter dell’occhio, che è un passaggio costante di ciò che fu a ciò che sarà per mezzo del presente. Platone adunque, in opposizione a questo sensibile, concepisce quello che è compreso dall’intelletto come qualche cosa di costante, che nè si muta, nè passa, ma rimane sempre a un modo, come l’immutabile; che non riceve la propria forma da altro, e neppur serve di forma a cosa che sia, ec. — Ritter.

Le Idee ec. — La teoria delle idee è riguardata come il nocciolo, e in pari tempo come ciò che v’ha di più astruso nelle dottrine platoniche. Vediamo collo stesso acutissimo Ritter, ciò che in generale Platone chiama idee.

I moderni si tennero su questo particolare in assai stretti confini, poichè altri pensò che non si trattasse che di concetti ideali del bene, del bello, del giusto, ec.; altri che di