Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/380

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annotazioni. 343

sticare col Rossi che il [testo greco] alluda ai pidocchi di cui altri suppose morto Speusippo. Del resto non è fatica assentire allo stesso Rossi che gli epigrammi del buon Laerzio sum pleraque frigidiora vel, ut quispiam dixerit, facta musis et Apolline nullo — e peggio — Ma è fatica lo assentirgli che il Meibomio e l’Aldobrandino abbiano peggio di lui interpretato l’epigramma.

Racconta Plutarco nella vita di Lisandro — Queste parole: [testo greco] il Rossi, le crede [testo greco], come molt’altre, ch’ei dice di avere scoperte, intruse in quest’opera.

X. Io te ne troverò una per dieci talenti. — Era la dote che per solito davano in Atene i più ricchi, e sommava a più di cinquanta cinque mila delle nostre lire italiane.

XI. Lasciò un’infinità di Commentarj ec. — Delle sue opere nessuna ci è pervenuta; se non che nel lamblico d’Aldo, 1497, va sotto il suo nome un libro di definizioni platoniche.

Delle cose che hanno una trattazione simile. — Pare che Speusippo, conformemente al principio che in ogni cosa, per giugnere alla conoscenza, è mestieri cercar di conoscere le somiglianze e le differenze, componesse quest’opera in cui forse aveva indicato il simile in tutte le cose del mondo che gli erano note. — Questo libro che senza ragione, al dire di Ritter, si attribuisce dal Menagio al medico Speusippo col titolo di [testo greco], citasi spesso da Ateneo, nel settimo libro, dove tratta degli animali aquatici. Dalle parole di Ateneo si raccoglie che Speusippo tentò di determinare la somiglianza delle specie degli animali e delle specie delle piante, e quindi probabilmente di fare un’istoria naturale sistematica. — Nella ricerca della diversità del sapere, Speusippo, secondo Ritter, tentò fors’anco di determinare con maggior precisione, quantunque soltanto in una formola, il modo col quale