Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/97

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     A Pitagora mio, che a tutti è primo
     Per l’ellenica terra — Io qui non mento.

E di lui dice Ione da Chio:

     Di virtù al pari e di pudore ornato
     Pur moria ha vita l’anima soave!
     Di Pitagora al pari verace saggio
     Vide e studiò degli uomini i costumi.

E nostro è questo in metro Ferecrazio:

     Dell’illustre Ferecide, cui Siro
     Già partoriva, è detto che, i pidocchi
     Il primiero mutatone sembiante,
     Tosto imponesse sul magnesio suolo
     D’esser deposto, onde l’efesio avesse
     Popolo generoso alfin vittoria
     Imperocchè l’oracolo, ch’ei solo
     Conoscea, queste cose aveva imposto
     E moriva colàGiovevol dunque
     È il verace sapiente e vivo e morto.


VIII. Nacque nella cinquantanovesima olimpiade, e scrisse quest’epistola:

Ferecide a Talete.

„Oh muoia tu bene, quando il destino ti sopravvenga! La malattia mi aveva già sorpreso al ricevere delle tue lettere. Tutto io formicolava di pidocchi, ed aveva la febbre continua. Ingiuusi adunque a’ miei schiavi, sepolto che mi avessero, di recarli le cose ch’io ho scritto. Tu, se cogli altri sapienti