Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/199

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pria delle vacche, potè Arcesilao trarre argomento contro l’evidenza dei sensi. Costui disputò primo per le due parti.“ — Menagio.

VII. Sue le epìstole sole. — Pure l’opera intitolata [testo greco], non ricordata da Laerzio, ma della quale Stobeo riporta alcuni frammenti, ha tutti i caratteri della dottrina di Aristone.


CAPO III.


Erillo.


„Quanto rimane delle dottrine di Erillo basta per mostrarle in assoluta opposizione con quelle di Aristone. Troppo egli aveva in riguardo i beni esteriori, troppo li negligeva il secondo. Per altro Erillo non volea derivate da questi il sommo bene; la qual cosa fece credere ch’egli ammettesse, per così dire, due beni supremi, distinti l’uno dall’altro. Lo che torna alla distinzione da esso stabilita tra il fine del saggio ed il fine del volgare, che si propone l’acquisto de’ beni esterni. Voleva Erillo che questo fine non fosse al tutto negletto dal savio, almeno il sejuncta di Cicerone, e l’epiteto d’[testo greco], ch’ei dava al fine del volgo, portano a crederlo. Probabilmente egli è in rispetto di questo fine secondario, che Laerzio gli fa insegnare che non eravi punto un fine sovrano, ma che il fine cangia assolutamente secondo i rapporti. Non cercando Erillo il bene del sapiente che nella scienza, o conoscenza, pare ch’ei voglia in modo assoluto ridurre la vita morale al lato teoretico. Qui dunque la dottrina di Erillo, facendo spiccare l’elemento che Zenone pare abbia tratto dalla filosofia megarica e academica, forma un’opposizione decisa coll’opinione tutta cinica di Aristone.“ — Ritter.