Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/214

Da Wikisource.

pitagora. 195

coloro che sono per uscir di vita a non desiderare di vivere, nè a lasciarsi condurre alle voluttà di qui. E pel resto, s’interpretino l’altre da queste, senza che noi andiamo per le lunghe.

XVIII. Sopra tutto proibiva che si mangiasse erutino e melanuro; e comandava di astenersi dal cuore e dalle fave. Aristotele dice anche dalla matrice e dalle triglie talvolta. In quanto a sè, dicono alcuni, stava contento di solo miele, o favo, o pane: vino non gustava fra il giorno. A companatico, per lo più, camangiari bolliti e crudi; rado cose marine. Il suo vestito era bianco e netto, bianche e di lana le coperte, poichè le robe di lino non ancora erano giunte in que’ luoghi. Niuno s’accorse mai ch’egli, nè vuotasse il ventre, nè usasse la venere, nè s’ubbriacasse. Astenevasi dalla derisione e da ogni piacenteria, al pari che da ogni molto pungente e da’ racconti importuni; e irato, non punì mai nè schiavi, nè liberi. Ammonire chiamava cicognizzare (pascere a mo’ cicogna). Usava la divinazione che fassi per presagi ed augurj, non mai quella che per arsioni, eccettuato che col mezzo dell’incenso. Ne’ sagrificj si serviva di cose inanimate: altri affermano che di galli soltanto e di capretti lattanti, che diconsi teneri, ma non di agnelli; Aristosseno per altro, che e’ permetteva si mangiassero tutti gli altri animali, e soltanto era solito astenersi dal bue aratore e dal montone.

XIX. Scrive lo stesso, come è detto prima, aver Pitagora ricevuti i suoi dommi dalla Temistoclea, sacerdotessa di Delfo. E si racconta da Ieronimo esser