Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/234

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empedocle 215

     E non mortal, spesso con voi converso
     Onorato da ognun come conviene,
     E di bende e corone verdeggianti
     Cinto. Che s’io con tai fregi mi reco
     A floride cittadi, uomini e donne
     M’onorano, e mi seguono con loro
     Altri mille chiedenti per qual via
     Vassi all’utile, e que’ che il vaticinio
     Usano, e que’ che bramano sentire
     Sovra ogni morbo docili parole.


VII. Narra poi ch’egli chiamasse possente Agrigento, perchè vi abitavano ottocento mila. Ond’è che Empedocle ebbe a dire, parlando delle sue delizie: Che gli Agrigentini si abbandonano a’ piaceri come se dovessero morir la dimane, e fabbricano le case come se vivere sempre.

VIII. Narrasi, al dire di Favorino ne’ Commentarj, che queste medesime Purificazioni recitasse pubblicamente in Olimpia il rapsodo Cleomede.

IX. Scrive Aristotele che fu liberale e avverso ad ogni dominazione, e che, secondo che Xanto racconta ne’ libri che scrisse di lui, rifiutò il regno offertogli, amando meglio, com’è evidente, una vita semplice. Le stesse cose riferisce anche Timeo, ponendoci dinanzi a un tratto la cagione d’essere egli popolare; conciossiachè ci racconti, che invitato da non so quale arconte e procedendosi nel bere, quasi la cena non si dovesse recare, stando gli altri silenziosi, egli, mal disposto co’ tristi, propose di portare in tavola; ma colui che aveva invitato disse che si aspettava un uficiale del senato; il quale giunto, fu, per volontà espressa dell’invitatore, fatto principe del